C'E' ODIO E ODIO DI CLASSE

C'è odio e odio di classe

 

Il socialismo è l'unico sistema di emancipazione reale per il proletariato e le masse popolari

 

C'è odio e odio. Le sardine in piazza in tante città d'Italia, con metodi non proprio democratici (provare per credere) predicano la non violenza e attaccano l'odio e il comunismo e così mobilitano giovani sprovveduti e benpensanti - anche coloro che non si mobilitano per cause importanti che riguardano il movimento operaio o l'internazionalismo proletario - scendono in piazza con la sardina al collo per pulirsi la coscienza.

 

Questo fenomeno, come il Friday for future, è possibile per l'assenza di un forte movimento operaio. Proprio l'anniversario del 50° della strage di piazza Fontana a Milano (l'abbiamo trattato sul numero scorso) ci ricorda la differenza tra ieri e oggi. Erano anni nel pieno della lotta di classe, contestazioni e rivendicazioni - costate denunce, arresti, morti, provocazioni fasciste, stragi - ma con le quali si sono ottenuti dei risultati a favore della classe operaia.

Lo conferma l'ondata di informazione anticomunista scatenata su tutti i massmedia nella settimana del 12 dicembre.


Per questo stiamo dalla parte di chi rivendica l'odio di classe perché senza non si può abbattere nessun potere. Lo spettro del comunismo - ciò che avevano già individuato Marx ed Engels quando scrissero il Manifesto del Partito Comunista - e che perseguita la classe dominante - continua a perseguitare la borghesia, a distanza di oltre 150 anni.

Il capitalismo è invischiato da anni in una crisi inestricabile e senza fine. Nessuno Stato capitalista è riuscito a garantire sicurezza economica e giustizia sociale ai lavoratori. E non ci può riuscire perché la sua immensa ricchezza è concentrata in poche mani che aumentano sempre maggiori ricchezze per quei pochi, riservando alle popolazioni difficoltà economiche, disuguaglianza, distruzione dell'ambiente, guerre. Come si può credere nel capitalismo?
Le manifestazioni in tante parti del mondo - protestano persino gli insegnanti di Chicago -, i duri scioperi generali e ad oltranza in Francia sono la risposta all'attacco del capitalismo contro i lavoratori e le masse popolari, la prima e immediata risposta, importante anche se non sufficiente.


In Italia le cose languono. I lavoratori - condizionati da anni di revisionismo e collaborazionismo dei sindacati confederali - traccheggiano. L'esempio più eclatante è l'ex Ilva che produce il 70% dell'acciaio e lo esporta per il 60% in 8 Paesi europei. Un settore che chiude il 2019 con una crescita mondiale del 3,9% mentre nel 2020 è prevista una crescita ulteriore dell'1,7%.


Di fronte a motivazioni pretestuose, che porteranno al graduale spegnimento degli altiforni, il governo non arriva a soluzioni che evitino una scelta senza ritorno, se non accettare l'esubero di 5mila lavoratori o accettare la richiesta di Arcelor della Cig straordinaria. Richiesta sicuramente non estranea ai sindacati confederali che - per non creare disturbo al capitale - evitano uno sciopero generale unitario nazionale che coinvolga i lavoratori di tutte le vertenze lasciate separate e tutto il paese.

Ciò comporta l'ulteriore indebolimento della classe operaia, la scarsa fiducia in se stessa e nella "sinistra" che, unita alla disorganizzazione, è causa della sconfitta che si trasferisce sul piano elettorale verso forze politiche di destra che intercettano la paura ormai generalizzata e, promettendo l'irrealizzabile, impongono a livello sociale e culturale, la concezione individualista, nazionalistica e fascistoide.


La Lega sostiene che le misure economiche impediscono gli investimenti. Ma quali investimenti? Gran parte degli stranieri che hanno investito in Italia lo hanno fatto per eliminare la concorrenza. 
Ai turchi Pernigotti interessava il marchio, la multinazionale Whirpool, della quale non si sente più parlare, viene chiusa non certo per le regole economiche ma, come per altre centinaia di fabbriche, per l'avidità del massimo profitto.

La delocalizzazione che non viene impedita né dal Governo, nè dallo Stato, né dalle forze politiche è indirizzata nei paesi dove i salari sono più bassi e le leggi sul lavoro ancora più permissive che in Italia dove, comunque, morti e incidenti sul lavoro e malattie professionali sono in aumento.

Com'è ben emerso dall'assemblea dei "Lavoratori autoconvocati per l'unità della classe" lo scorso 7 dicembre a Torino.  
In questi ultimi giorni al centro della "politica" e in particolare della perenne campagna elettorale di Salvini c'è stato il Mes, che non spiega di che si tratta. Perché se lo avesse fatto, avrebbe detto che è il meccanismo di stabilizzazione finanziaria, che è entrato in vigore nel 2012 per rispondere alle crisi del debito sovrano nell’Eurozona, per prestare assistenza agli Stati in difficoltà finanziaria, che è nato dalle modifiche al Trattato Europeo approvate il 23 marzo 2011 (quando al governo c'era Berlusconi con la Lega nord e con la Meloni e La Russa ministri) sostituendo il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf), forse anche i suoi beceri elettori capirebbero che il Mes esisteva anche nei suoi 14 mesi di governo.

Oggi Salvini si preoccupa di quanto ci costa il Mes. Costa molto è vero, è il costo imposto dall'Europa imperialista, parliamo di miliardi (pare che l'impegno sia di 125), ma non si è mai sentito lamentarsi dei miliardi che ci costano ogni anno per l'appartenenza alla Nato (70 milioni al giorno!) braccio armato degli Stati Uniti che, a differenza del Mes, vengono versati. Anzi - plaudendo alla decisione del ministro PD Guerini di avviare la fase 2 - difende l'acquisto dei 131 F35 e le spese per i programmi militari.

Al forum di LaPresse a Milano ha detto: “Quanto al disarmo, non è utile, sarebbe un suicidio economico, e poi il settore difesa è strategico per i prossimi cinquant’anni. Un Paese disarmato è un Paese occupato e occupabile; noi abbiamo una diversa posizione su questo rispetto al Movimento 5 stelle”.
Lega e Salvini stiano sereni. L'Italia ha guadagnato due posizioni da 13 a 11 nella classifica delle spese per la difesa, pari all'1,5% (mentre si fanno le bucce su sanità, scuola, ricerca) e si impegna a spendere il 2% entro il 2024. Ricordiamo che per la difesa nel 2018 si sono spesi globalmente 1.822 miliardi di dollari, cioè il 2,6% in più rispetto al 2017.


Il sistema capitalistico non può dare risposte né al movimento operaio, né alle masse popolari. Il suo compito è quello di succhiare il sangue con lo sfruttamento, di reprimere, di tagliare i servizi, di discriminare per alimentare la guerra tra poveri, di inquinare e distruggere l'ambiente fino a portare alla terribile soluzione che è la guerra.


Da un recente sondaggio è emerso che il 48% degli italiani sono favorevoli ad un uomo forte al potere. Evidentemente sono coloro che cercano la via più breve, rifiutano impegno e partecipazione e non ricordano che un uomo solo al potere c'è già stato e ha portato l'Italia alla guerra. Nel sistema capitalista non c'è progresso, se non conquiste momentanee e ottenute con duri sacrifici e potenti lotte.

Non si può realizzare il socialismo all’interno della struttura della società capitalista. Il socialismo - l'unico sistema di emancipazione reale per il proletariato e le masse popolari - si realizza solo quando la classe lavoratrice prende il potere, socializza i beni di produzione ed elimina lo Stato capitalista e stabilisce un governo rivoluzionario.
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Editoriale del periodico comunista di politica e cultura n 7 del 2019

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