Viva il primo maggio rosso!
Luciano Orio, Nuova Unità n.2, aprile 2020
Non c'è niente di più anacronistico che scrivere del Primo Maggio in questi tempi di coronavirus: tanto il primo celebra quanto il secondo incenerisce quel che resta di libertà, socialità e
vivere collettivo. I tempi cupi non possono non riportare alla memoria le vecchie edizioni della Festa dei Lavoratori, quelle di gioventù, quando questa scadenza si presentava come una giornata
di lotta e si andava, da militanti, a gonfiare di numero e di contraddizioni i cortei sindacali, destinati purtroppo a finire, con gli anni, a Piazza San Giovanni per il "tradizionale"
concertone.
Ma prima di riempire queste righe di nostalgie fuori luogo è bene riprendere la storia del Primo Maggio, che è legata a quella per le otto ore di lavoro iniziata nei paesi industrialmente più
progrediti alla fine del penultimo decennio de XIX secolo: "Sarà organizzata una grande manifestazione internazionale a data fissa, per modo che, in tutti i paesi e in tutte le città
contemporaneamente, in uno stesso giorno prestabilito, i lavoratori pongano ai poteri pubblici la condizione di ridurre legalmente a otto ore la giornata di lavoro" . Così deliberò a Parigi
nel 1889 il Congresso di fondazione della Seconda Internazionale. La pratica poi fece il resto, interpretando e integrando la deliberazione stessa e sviluppandone il contenuto, dalla protesta per
le otto ore a quella di più ampie rivendicazioni economiche e sociali.
Il Primo Maggio dunque è una scadenza con un significato altamente simbolico dal punto di vista rivoluzionario e di classe e per molti anni ha dato luogo, in tutti i paesi, a violente repressioni
poliziesche che tuttora perdurano laddove questa data viene organizzata nel suo significato più autentico. Ma, si sa, dove non arriva il bastone, arriva la politica di svuotamento progressivo del
significato rivoluzionario originale, attraverso il riconoscimento, tacito od esplicito, e la normalizzazione da parte non solo dei governi borghesi (una festa civile), ma soprattutto da
parte dei sindacati confederali e partiti di sinistra. Uno svuotamento, che è progredito a tappe il cui traguardo era, volta per volta, lo smantellamento della condizione di classe, della
sua coscienza e centralità, per arrivare al concertone di Piazza San Giovanni. La storia della lotta di classe non può non coincidere con la storia del Primo Maggio.
A cosa dobbiamo l'indifferenza, la perdita di centralità e di protagonismo della classe operaia? Premettiamo che si tratta di una fase e non di un destino irreversibile. Altrove (in
Francia, America Latina, India ecc.) i lavoratori ne sono esenti. Al di là dell'attacco profondo portato dalla borghesia, scelte ed errori politici hanno svuotato lo spazio politico di
classe.
Le lotte dei lavoratori (Biennio rosso, Resistenza, Autunno caldo) sono avvenute sotto l'insegna del marxismo e del comunismo ed erano concepite dai lavoratori stessi (o da molti di loro) come
preparatorie all'abbattimento del sistema capitalista per costruire un nuovo modo di produrre e organizzare la società, il socialismo, appunto. Negli anni '60 e '70 (ma anche dopo) il marxismo è
stato un punto di riferimento intellettuale fortissimo che ha influenzato anche molti piccolo borghesi. Anche chi era ostile al marxismo, o puntava a superarlo e rimpiazzarlo, si presentava,
allora, attraverso idee socialisteggianti o usava un gergo ripreso dal marxismo e dal leninismo. Questo fenomeno è stato particolarmente evidente col proliferare delle teorie
"postmarxiste".
Intellettuali e artisti, "soggettività" di vario tipo, con una coscienza molto superficiale, che si facevano passare per comunisti o anticapitalisti, sono diventati, nel giro di pochi anni,
qualunquisti o, peggio ancora, fedeli seguaci di qualche fede religiosa.
Il discredito, poi, in cui il socialismo è parzialmente caduto in alcune regioni del mondo dopo la caduta del muro di Berlino (1989-1991) è servito da trampolino di lancio per l'offensiva
dell'armamentario ideologico borghese. Tante idee sbagliate sono penetrate nel campo della classe operaia, disorientandola. Ma c'è di più. La crisi ha esaurito i margini economici per politiche
riformiste socialdemocratiche e questo è chiaramente visibile nelle liste elettorali, nelle quali la stessa parola sinistra è ormai quasi scomparsa.
Tutte queste macerie ideologiche pesano e non poco, soprattutto per chi fa di tutto per scrollarsele di dosso. Il principale argomento e il più devastante contro il marxismo riguarda la pretesa
della scomparsa delle classi sociali, cioè che la classe operaia non esiste più. Questo mito del tramonto della classe operaia ha portato all'interclassismo e al populismo. Pregiudizi
anticomunisti ritornano, diventano luoghi comuni e le stupidaggini dilagano.
L'invito quindi è riprendere i contenuti di lotta del Primo Maggio e farne un'autentica giornata di lotta dei lavoratori che metta al centro della giornata l'attacco sempre più virulento contro
la condizione della classe lavoratrice, a partire dalla limitazione del diritto di sciopero.