Coronavirus, Davide e Golia
di Daniela Trollio (*)
Un virus, un piccolissimo ‘agente infettivo’ nato non sappiamo dove, si è diffuso in tempi rapidissimi per tutto il pianeta, facendo fino ad ora decine di migliaia di morti e obbligando milioni e milioni di persone a chiudersi nelle proprie case quando le hanno, e altri milioni e milioni a soffrire la fame e a correre il pericolo di ammalarsi e di morire senza alcuna possibilità di difendersi perché non hanno né casa, né acqua, né sapone né, tanto meno, mascherine.
L’economia si è paralizzata. Si è fermata, o ha rallentato, l’accumulazione del profitto a livello mondiale e già possiamo prevederne gli effetti: un’ondata di licenziamenti, disoccupazione raddoppiata e galoppante, miseria e fame - “la fame, inseparabile compagna dei poveri, figlia dell’iniqua distribuzione delle ricchezze e delle ingiustizie di questo mondo” come diceva Fidel Castro - per altri milioni di persone, una nuova Grande Depressione…..
Ma le vittime del Covid-19 non sono solo umane: la vittima più importante è certamente il sistema economico che chiamiamo “neoliberismo”, la versione attuale del capitalismo, quello che ci hanno fatto credere che fosse il migliore – e l’unico – dei mondi possibili.
La ‘mano invisibile’ del mercato è naufragata miseramente davanti al Covid-19.
La globalizzazione si è rivelata quello che è: libera circolazione sì ma solo per i capitali, perché tutti gli Stati hanno immediatamente chiuso le loro frontiere alle persone e iniziato la guerra tra loro. Abbiamo persino assistito ad atti di pirateria statale, paesi che rubavano le forniture mediche destinate ad altri paesi.
Ma, soprattutto, è saltato il motto fondamentale degli ultimi 20 anni, “privato è bello”.
Covid-19 ha dimostrato – in particolare - che i tagli alla sanità pubblica (35 milioni di euro in 15 anni, 70.000 posti letto fatti sparire in favore della sanità privata in Italia) sono i diretti responsabili del numero dei morti. Lo dicono le cifre: le vittime sono inversamente proporzionali al numero di letti ospedalieri nella sanità pubblica; vedere la tabella seguente per credere.
Letti ospedalieri per 1.000 abitanti (fonti: OMS e OCSE;BBC Mundo 21.3.2020)
Corea del Sud 12
Germania 8
Italia 3,5
Spagna 3
Francia 6
Stati Uniti 2,9
Iran 1,8
Quanto sopra ci serve nel nostro ‘lavoro’ di rivoluzionari, perché è la dimostrazione di quello che ripetiamo da sempre – il capitalismo è morte – supportata da fatti concreti che ogni cittadino del pianeta sta vivendo sulla propria pelle in un modo mai visto prima.
E così vale la pena di mettere a confronto il comportamento di Davide e quello di Golia: la Cuba rivoluzionaria che avanza faticosamente ma cocciutamente verso il socialismo e il gigante dai piedi di argilla, patria delle principali grandi multinazionali, gli Stati Uniti d’America, in una parola l’impero.
Davide
Come diceva il Che, “la solidarietà è la tenerezza dei popoli” e la piccola – grande – isola, bloqueada da più di 60 anni, è riuscita a inviare personale medico in ben 23 paesi compresa l’Italia (nelle regioni più colpite, 52 in Lombardia, 38 in Piemonte, appartenenti alla Brigata “Henry Reeves”, il cui nome ufficiale è Contingente Internazionale di Medici Specializzati in Situazioni di Disastri e Gravi Epidemie). Il loro lavoro è gratuito.
Nel momento in cui ci si affida alla tecnologia per cercare di uscire dalla crisi, Cuba dimostra una volta di più che quello che conta è il fattore umano, è la solidarietà disinteressata e intelligente, è l’internazionalismo, nonostante non sia seconda a nessuno per ricerca medica e biotecnologie, quelle che le hanno permesso di produrre e fornire l’interferone Alpha 2B, chiesto all’isola da ben 40 paesi per la lotta al coronavirus..
Colpita anch’essa dal Covid-19, con circa 1.500 casi confermati e 61 morti, ma con una formidabile organizzazione capillare del suo popolo, Cuba si può così permettere una serie di misure come la mobilitazione di 4.641 lavoratori sociali che visitano i gruppi vulnerabili della popolazione (anziani soli o malati, madri sole con figli minori, donne incinte che non possono uscire), consegna delle medicine a domicilio a questi gruppi; mobilitazione dei Comitati di Difesa della Rivoluzione e della Federazione delle Donne Cubane in aiuto alle persone sole per l’acquisto del cibo e delle medicine, utilizzo degli studenti di medicina per l’indagine epidemiologica nelle comunità.
Un vero esempio che viene dal vituperato 3° mondo, da un paese ‘povero’ che si rivela però ricco di umanità e in grado di dare lezioni al 1° mondo che, invece, oltre a rubarsi mascherine e materiale sanitario, per sconfiggere il virus ha puntato tutto sulla cancellazione dei rapporti sociali e della solidarietà.
Sono in molti a riconoscere a Cuba la capacità di esercitare la solidarietà, ma non altrettanti a ricordare e far ricordare la ragione di questa solidarietà: la scelta, irreversibile come dicono i cubani, di un altro sistema, di un altro mondo in cui al primo posto ci siano gli esseri umani e non il profitto. In una parola la scelta del socialismo.
E cade anche la critica che generalmente viene fatta a Cuba: il socialismo non è condividere la povertà.
A parte il fatto che questa critica non tiene in alcun conto il più spietato e lungo blocco della storia – tuttora in vigore in tempo di coronavirus – quando l’esistenza umana è messa così in pericolo e siamo costretti a renderci conto che i fattori fondamentali per la nostra vita non sono gli innumerevoli ammennicoli di cui siamo circondati, ripiombiamo allora nel mondo reale e dobbiamo riconoscere che Cuba ha medici, ospedali, sistemi di salute, organizzazione popolare (tra le altre cose) infinitamente superiori a quelle dei paesi “sviluppati”, tanto che si può permettere di condividere la ricchezza umana che rappresentano.
Golia
Nessuno dimenticherà le immagini del 10 aprile che arrivano dalla città più ricca del paese più ricco del mondo: decine e decine di povere bare, quattro assi messe insieme, allineate nelle fosse comuni di Hart Island, l’isola di New York al largo del Bronx, ricoperte dai dannati della terra, i carcerati di Rikers Island. Accade nel paese più potente del mondo, nella patria delle maggiori multinazionali, dove – dicono – scienza e ricerca sono all’avanguardia. Le immagini sanno invece di Medio Evo.
Non è strano, è il risultato di un sistema che privilegia il profitto rispetto alla vita.
E la Storia si permette un sanguinoso sberleffo: nell’aprile del 1975, al termine della guerra del Vietnam, i morti statunitensi ammontavano a 58.265 in dieci anni; alla fine dell’aprile 2020 le vittime del Covid, dopo soli 4 mesi, superano i 40.000 e fanno degli USA – nonostante la ricchezza, nonostante la potenza militare, nonostante l’avanzamento della tecnologia - il paese più colpito al mondo.
Le misure di contenimento come la chiusura delle attività e il distanziamento personale sono state prese in grande ritardo perché bisognava salvaguardare gli interessi dei grandi gruppi capitalisti.
E così di nuovo un nemico “microscopico” ha messo in ginocchio l’impero.
E non è l’unico sberleffo: il piccolo “nemico” – il Vietnam che deve agli USA l’uccisione di ben 3 milioni dei suoi cittadini, oltre a coloro che ancor oggi nascono malformati grazie agli 86 milioni di litri di defolianti tra cui napalm e agente orange rovesciati dall’esercito statunitense sul suo territorio - a metà aprile ha inviato agli USA 450.000 kits di protezione per medici e infermieri (oltre a mandare mezzo milioni di mascherine a Francia, Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna).
Torniamo alle bare di Hart Island, icona dell’abbandono in cui è stata lasciata la popolazione nordamericana, 30 milioni di cittadini esclusi dall’accesso alla sanità perché non possiedono assicurazione sanitaria e non sono quindi in grado di farsi curare: la maggior parte delle vittime sono neri, latini e poveri di ogni colore. Ad esempio a Chicago, la sesta città più popolata degli USA, i contagiati neri erano la metà dei 500.000 casi di coronavirus. Neri erano anche i morti, il 72% delle vittime nonostante rappresentassero solo il 37% della popolazione della città.
Tutti i media commentano le uscite di Donald Trump sul coronavirus ma nessuno di essi ricorda che il menefreghismo per la sorte dei propri cittadini non è certo una caratteristica solo sua.
Anno 2005, 19 agosto, presidenza George W.Bush: l’uragano Katrina colpisce la costa sud degli Stati Uniti e la città di New Orleans. Le uniche indicazioni date alla popolazione sono di prendere l’auto e fuggire, chi non ce l’ha si arrangi.
Al Memorial Medical Center , dove l’uragano ha rotto le finestre, interrotto la corrente elettrica e bloccato l’aria condizionata, ci sono 180 pazienti da evacuare con gli elicotteri, ma non si riesce a farlo: le risorse e il personale sono troppo pochi. Un anno dopo un medico e alcuni infermieri verranno processati per aver dato volontariamente la morte ad una decina di pazienti piuttosto di lasciarli morire da soli.
In una parola, il Covid-19 scrive la parola “fine” al sogno americano e porta alla luce come non mai il fallimento completo del suo sistema. E lo dice persino uno che se ne intende, Henry Kissinger, l’anima nera dei governi USA dal 1969, che sulle pagine del portavoce del capitale internazionale – il Wall Street Journal - si chiede: “Si potranno salvare i principi dell’ordine mondiale liberista?”.
Ci fermiamo qui nel paragono tra Davide e Golia.
Tutti ci chiediamo come usciremo dalla crisi del coronavirus, ed è una domanda fondamentale.
Il panico e la confusione, seminati senza pietà per 24 ore al giorno da TV e giornali, hanno fatto sì che la maggioranza della popolazione accettasse senza discussione misure che hanno cancellato diritti sociali e politici come nemmeno in guerra era successo (il coprifuoco, la caccia all’untore, la morte in solitudine e abbandono degli anziani, ecc.).
Oggi ci vendono la favola della tecnologia che ci salverà, al prezzo della sorveglianza perpetua, anche se la tecnologia non ci ha salvato nelle epidemie precedenti come l’AIDS, la SARS, l’Ebola ecc. Oltre al fatto che in realtà i metodi per arginare questa epidemia, ben lungi dall’essere tecnologici, sono quelli impiegati nel Medio Evo contro peste e colera: quarantena, acqua e sapone.
Con la scusa di proteggerci spunta l’idea che si può lavorare 7 giorni su 7 – sogno che Confindustria da anni tenta di realizzare e che è stato realizzato solo in alcuni settori come il commercio.
Nelle fabbriche e nei posti di lavoro, dice il governo, bisognerà rispettare le misure di sicurezza: ma, diciamo noi, quali misure rispetteranno i padroni se non lo facevano neanche prima, prova ne sia i più di 1.000 morti sul lavoro all’anno?!
Altra prova: i nuovi “eroi”, perchè senza retorica non riusciamo a resistere. Sarebbero medici, infermieri, operatori sanitari. Ieri però venivano licenziati, erano costretti a lavorare con contratti a tempo, sottopagati e sfruttati. Oggi sono portati sull’altare, ma sempre con contratti a termine, sottopagati e sfruttati. Ancora per poco, però. Già, perchè davanti alle denunce sulla mancanza di protezioni, vengono di nuovo licenziati. E nessuno chiama come dovrebbe le vittime di questo settore: altro che eroi, morti sul lavoro anche loro, vittime del profitto che non prevede di spendere un soldo per la protezione dei lavoratori.
E dibattono sui prestiti, i Coronabond, il MES, ecc. ma nessuno dice una parola sulle spese militari in epoca di pandemia: l’acquisto previsto di una decina di F-35 e l’acquisizione di nuovi sottomarini da guerra U-212. Un F-35 costa 135 milioni di euro, che corrispondono al costo di 1.000 posti letto in terapia intensiva. L’U-212 costa 675 milioni di euro, il costo di 6.000 posti letto.
E’ già cominciata invece la corsa al vaccino, che riempirà ulteriormente le tasche di Big Pharma, nonostante ad esempio siano passati ben 28 anni (e 32 milioni di morti) dalla comparsa dell’AIDS – virus mai scomparso e tuttora vivo e vegeto - e dalla conseguente promessa di un vaccino che non è mai stato realizzato.
E’ per queste e per mille altre ragioni che dobbiamo riprendere con più vigore non solo la denuncia di questo sistema marcio, ma le lotte e l’organizzazione, con il superamento delle meschine divisioni delle forze rivoluzionarie, perchè il proletariato e le sue avanguardie riprendano, nel nostro paese, il posto che compete loro.
Dalle crisi si esce in due modi: o in quello reazionario o in quello rivoluzionario, ce lo dimostra tutta la storia del genere umano. Sta a noi scegliere.
(Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)
Pubblicato su “nuova unità” n. 3 maggio 2020