Se muoio lontano da te in tempi di pandemia
di Lydia Neri; da: rebelion.org; 2.6.2020
Se muoio qui a New York, Messico bello e amato, e non ho “carte”, né famiglia né denaro e muoio solo ….allora, Messico bello e amato, finirò seppellito in quella immensa Tomba di Babele, insieme a migliaia di immigranti sconosciuti che sono arrivati pieni di sogni a New York e sono morti, e che nessuno ha mai reclamato. E qui rimarrò senza che nessuno sappia che me ne sono andato: senza preghiere, senza fiori, senza pianti…
Messico bello e amato, se muoio lontano da te (**) chi potrà dire che sono addormentato e che mi porterà indietro, qui …. Messico bello e amato, se muoio lontano da te …
Se muoio qui, negli Stati Uniti in questi tempi di pandemia, e se ho la fortuna di avere una casa e una famiglia e del denaro e delle “carte”, forse possono seppellirmi o forse no. Può darsi che mi cremino e che possano fare una veglia funebre… o forse no. Forse un giorno, quando tutto questo finirà, qualche mio familiare potrà riempirmi di fiori e portarmi, con preghiere e riti, in una piccola urna, in viaggio di ritorno alla mia patria.
Ma se muoio qui, a New York, Messico bello e amato, e non ho “carte” né famiglia né denaro e muoio solo, nella stanzetta scalcinata che divido con parecchi altri miei compagni di lavoro, e loro se ne vanno spaventati, fuggendo dalla mia morte non solo per paura del contagio ma perché la migra (l’Ufficio Immigrazione, n.d.t.) arriverà insieme all’ambulanza che viene a prendere il mio corpo … allora, Messico bello e amato, io finirò sepolto in quella immensa Tomba di Babele, insieme a migliaia di immigranti sconosciuti che arrivarono pieni di sogni a New York e morirono, e che nessuno ha reclamato.
E là resterò senza che nessuna sappia che me ne sono andato: senza preghiere, senza fiori, senza pianti … Là dove vanno i più poveri, gli indigenti, i senza famiglia, in quella fossa, piaga gigante sulla carne dell’Isola del Cervo (o Hart Island) sulla costa del Bronx. L’isola dei morti.
E quando mia madre mi cercherà e non sentirà la mia voce .. e quando non le arriveranno soldi … quando mio fratello mi chiamerà, e quando la mia bambina mi scriverà …. Messico bello e amato, nessuno risponderà loro, perché io sarò in una fossa fangosa appena scavata, stecchito in un sacco di plastica e dentro una triste e sgangherata cassa di legno. Inerte, fra file di centinaia, o migliaia, di casse identiche trasformate in bare che, invece di essere state interrate con una cerimonia dai becchini, saranno state ammonticchiate da prigionieri mal pagati delle carceri locali che non fanno altro che impilare casse con esseri umani uno sopra l’altro, sopra l’altro, sopra l’altro .. e così senza fine, senza rituali, senza epitaffi.
E resterò là, in quel luogo, nella rapida sepoltura di uno dei tanti obitori pieni di cadaveri e terrorizzati davanti a tanta morte per il virus. Sarò un corpo in più nel programma del governo che le autorità della Grande Mela chiamano pomposamente “cimitero pubblico di contingenza” e che noi chiamiamo con il suo nome: fossa comune.
Cosa direbbe mia madre se sapesse che il mio sogno americano è finito sepolto con me su un’isola abbandonata e inaccessibile, desolata, custodita da carcerieri e famosa per essere il cimitero più grande di New York dal 1868, e dove si dice ci siano più di un milione di esseri umani sepolti?
Un’isola spettrale. Disabitata, piena di dolore, con resti di edifici che un giorno furono un campo di prigionieri, un ospedale psichiatrico e un centro per tubercolotici sfrattati …. un luogo dove l’entrata è proibita, accessibile solo a carcerieri e carcerati che, in tempi di guerra e di pandemia, diventano becchini.
Andrò là, Messico bello e amato, dove nessuno – mai, mai – potrà portare alla mia anima errante la consolazione di una offerta in novembre: non ci saranno fiori né incenso né candele, né musica né pane né frutti, né stufato con il mais né tamales, né sentieri fatti con quel fiore arancione, il cempasùchil, che illumina con i suoi petali il cammino dei morti quando vengono a trovare i vivi.
Nessuno saprà di me. Sarò scomparso dalla faccia del pianeta senza traccia, senza impronta.
Si, certo, forse ci sarà qualche statistica e io sarò un numero in più, senza dati personali … così me ne andrò.
Invisibile sono arrivato, invisibile ho vissuto, e invisibile me ne vado …. se muoio lontano da te.
(*) Giornalista statunitense
(**) Canzone popolare messicana
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”, Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)