Fca licenzia, delocalizza, prende i soldi e scappa
FCA chiede al governo 6,3 miliardi per sostenere “un settore fondamentale per l'industria italiana”
La richiesta di un prestito da parte della multinazionale - che da tempo ha trasferito la sua sede fiscale in Olanda e lasciato le macerie in Italia con decine di miglia di cassintegrati, licenziamenti e fabbriche chiuse - ha immediatamente trovato il sostegno dei sindacati Cgil/Cisl/Uil e perplessità e polemiche, subito rientrate, da parte di alcuni esponenti dei partiti al governo (PD, Sinistra italiana, LeU), dopo che il Presidente del Consiglio Conte ha affermato: "Richiesta legittima, Fca produce in Italia, dobbiamo creare le condizioni perché torni" .
Sfruttare i lavoratori in un Paese e portare le sedi legali in un paradiso fiscale dove il diritto societario, com’è il caso dei Paesi Bassi, è molto semplificato e con una tassazione sugli utili finanziari quasi nulla che assicura che le plusvalenze restino nelle tasche dei padroni delle aziende è una politica in vigore ormai da diversi anni.
Tra i primi a farlo è stata la Fiat, che adesso si chiama Fca, che ha portato la sede fiscale in Olanda dal 2014. Poi è stata la volta di MediaForEurope, la nuova holding che ha unito Mediaset italiana e spagnola.
Poi tanti altri (comprese industrie di proprietà dello Stato italiano) si sono spostati nei Paesi Bassi: Cementir, del gruppo Caltagirone, Eni, Enel, Exor, Ferrero, Prysmian, Saipem, Telecom Italia, Illy, Luxottica Group e molte altri come i giganti del web Amazon, Microsoft, Facebook, Alibaba, Apple, con sedi legali nei paesi a fiscalità agevolata come Irlanda e Lussemburgo in Europa.
Anche Aspi - quella del crollo del ponte di Genova, responsabile della morte delle 43 vittime - di proprietà della famiglia Benetton ha chiesto il prestito agevolato dichiarando che se non le viene concesso qualche miliardo di euro, non farà gli investimenti.
UNITED COLORS OF OFFSHORE – Benetton che battono cassa (lo ricordiamo per chi legge) pagano le tasse in Italia solo dal 2012 quando patteggiarono con il fisco il trasferimento della sede dell’holding “Sintonia” dal Lussemburgo in Italia dopo un lungo contenzioso con il fisco Italiano. L’indagine si è chiusa nel 2012 con un patteggiamento: l’Agenzia delle entrate ha rinunciato a contestare i conteggi degli utili dichiarati in Lussemburgo, quantificati da “Sintonia” in 50 milioni di euro. In cambio, il gruppo Benetton ha pagato 12 milioni e ha trasferito la holding dal Lussemburgo a Milano.
Ormai tutte le multinazionali e i padroni, in base alle disposizioni del Decreto liquidità che stabilisce l'ammontare della linea di credito pari al 25% del fatturato, chiedono soldi pubblici mentre continuano a intascare privatamente i profitti.
Per quanto riguarda FCA, il consolidato delle società industriali del gruppo in Italia è di 6,3 miliardi. FCA in una nota alla stampa e al governo spiega che "l'innovativo accordo riconoscerebbe il ruolo del settore automobilistico nazionale, di cui FCA, insieme ai fornitori e ai partner è il fulcro, nella ripartenza del sistema industriale italiano".
La famiglia Agnelli e soci giustificano la richiesta del prestito ricordando al governo che la società impiega in maniera diretta 55.000 persone in 16 stabilimenti produttivi e 26 poli dedicati alla Ricerca e Sviluppo. Inoltre, "più di 200.000 posti di lavoro nelle 5.500 società fornitrici italiane altamente specializzate, sono direttamente legati al successo della continuità operativa della società. Altri 120.000 posti di lavoro in 12.000 imprese di tutte le dimensioni sono coinvolti nei concessionari e nell'assistenza ai clienti a supporto dell'industria automobilistica italiana. Inoltre, il 40% del fatturato annuale dal settore italiano della componentistica automotive - pari a 50 miliardi di euro - deriva dalle commesse di Fca".
Non c’è che dire: una minaccia neppure troppo velata che prevede, in caso di risposta negativa, gravi conseguenze sull’occupazione nelle fabbriche in Italia.
Ricordiamo solamente che FCA - che oggi chiede il prestito agevolato di miliardi di euro dallo stato italiano - è la stessa società che solo l’anno scorso ha distribuito 2 miliardi di euro agli azionisti per la vendita della Marelli, e che nelle casse del gruppo sono entrati altri 4 miliardi e duecento milioni derivanti anch’essi da tale vendita.
FCA è la stessa che, in piena pandemia, con la fusione con Peugeot distribuirà agli azionisti 5 miliardi e cinquecento milioni di euro di dividendi. Apprendiamo, inoltre, dalla stampa che quest’anno “regalerà” con il dividendo 1 miliardo e cento milioni di euro agli azionisti; si stima poi che FCA abbia circa 18 miliardi di liquidità in cassa.
La questione è che i padroni pensano solo ai soldi e sono senza scrupoli, e queste sanguisughe di FCA, in particolare, sono tra i più voraci. Cos' mentre gli azionisti ingrassano sullo sfruttamento e sulla pelle degli operai, questi – con salari da fame - sono costretti a vivere a livello di sussistenza.
Prendi i soldi e scappa è ormai diventata la costante di tutte le multinazionali.
Soldi agli azionisti derivanti dallo sfruttamento operaio e prestiti agevolati dallo Stato, miseria per i lavoratori con decine di migliaia in cassa integrazione e salari da fame appena sopra il reddito di cittadinanza, dopo che sono stati per decenni spremuti come limoni.
Questa vicenda ha portato allo scoperto (caso mai qualche sprovveduto non l’avesse ancora capito) il ruolo dei sindacalisti di Cgil/Cisl/Uil, talmente succubi del padrone che quando parlano non si capisce se sono i rappresentanti dei lavoratori o facciano parte del consiglio di amministrazione di FCA. Rivendicando a gran voce aiuti statali per il padrone di turno, arrivano al punto di arrabbiarsi con il governo perché favorisce la vendita di biciclette al posto delle auto. Al pari dei padroni sostengono la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite.
In cambio del loro servizio a favore dei padroni, i dirigenti sindacali collaborazionisti - controllando, impedendo e mantenendo al minimo la conflittualità - aiutano i padroni a realizzare il massimo profitto attraverso l’intensificazione dello sfruttamento, ottenendo vantaggi e privilegi che li ammettono nei salotti buoni della borghesia imprenditoriale e ai loro delegati RSU, fedeli all’organizzazione, vantaggi in fabbrica liberandoli dal lavoro della catena di montaggio e trasformandoli in guardiani al pari delle guardie aziendali.
Anche in piena emergenza Covid19, la produzione per il profitto non si è fermata, gli operai e i lavoratori hanno continuato a essere sfruttati e a morire sul lavoro e di lavoro, come prima e più di prima. Mentre tutta la popolazione era spaventata dai bollettini di guerra giornalieri degli “esperti” del governo, di scienziati spesso sul libro paga di settori industriali che contavano i morti e i malati costringendoci a restare a casa agli arresti domiciliari, migliaia di operai e lavoratori della sanità sono stati costretti a lavorare e si sono ammalati per mancanza di sicurezza e per mantenere i profitti che si intascano i padroni.
La pandemia ha dimostrato così, ancora una volta, la centralità della classe operaia nel processo di produzione, al di là di tutte le chiacchiere sulla scomparsa degli operai.
Per quanto sia stata tragica la situazione per l’epidemia Covid19, la società non può fare a meno degli operai, mentre può tranquillamente fare a meno dei padroni.
Rubare ai poveri contribuenti (operai, lavoratori e pensionati proletari, e piccola borghesia), ridurre i servizi sociali, sottrarre risorse derivanti dalle tasse dei proletari e delle classi sottomesse al cosiddetto “Stato sociale” per dare soldi ai ricchi borghesi sfruttatori ed evasori è da sempre la costante di tutti i governi dei padroni di qualsiasi colore.
I sostenitori del libero mercato, delle privatizzazioni, del “meno Stato più mercato”, che hanno sempre privatizzato i profitti e socializzato le loro perdite dopo aver delocalizzato, spostato produzioni all’estero e le sedi legali nei paradisi fiscali, mai sazi, oggi rivendicano ancora soldi.
Non basta resistere agli attacchi del capitale
La classe operaia, è legata al sistema del lavoro salariato e deve ricordare che nella lotta economico-sindacale lotta contro gli effetti del sistema di sfruttamento, ma non contro le cause che lo producono. Con questa lotta può soltanto difendersi, frenare il movimento discendente dei salari e delle condizioni di lavoro e di vita, ma non mutarne la direzione; essa applica soltanto dei palliativi, ma non cura la malattia.
Per dirla con Marx “essa non deve lasciarsi assorbire esclusivamente da questa inevitabile guerriglia, che scaturisce incessantemente dagli attacchi continui del capitale o dai mutamenti del mercato. Essa deve comprendere che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla classe operaia, genera nello stesso tempo le condizioni materiali e le forme sociali necessarie per una ricostruzione economica della società". Invece della parola d'ordine conservatrice: "Un equo salario per un'equa giornata di lavoro", gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario "Soppressione del sistema del lavoro salariato".
Forti sindacati conflittuali, uniti in un fronte di classe, possono essere efficaci come centri di resistenza contro gli attacchi del capitale, anche se la realtà ha dimostrato spesso la loro inefficienza perché sempre più in concorrenza tra loro invece di unificare le forze.
Non dobbiamo mai dimenticare che anche un sindacato di classe, per quanto forte e combattivo sia nella sua lotta, si limita a combattere una guerriglia contro gli effetti del sistema di sfruttamento esistente.
Noi operai e militanti comunisti dobbiamo invece lavorare per eliminare le cause dello sfruttamento, per trasformare la forza organizzata in una leva per la liberazione definitiva della classe operaia, cioè per l'abolizione definitiva del sistema del lavoro salariato, ponendoci l’obiettivo di un’organizzazione politica di classe, un partito della classe operaia e proletaria che lotti per il potere, per un sistema socialista in cui lo sfruttamento degli esseri umani sia considerato un crimine contro l’umanità.
Michele Michelino. Pubblicato sulla rivista “nuova unità” n. 4 di luglio 2020