Pandemia Covid-19: il messaggio perverso degli Stati Uniti nell’appropriarsi del remdesivir
di Raùl Zibechi (*); da: globalizacion.org; 3.7.2020
Giorni fa il governo di Donald Trump ha deciso di comprare grandi quantità del farmaco chiamato ‘rendesivir’, quasi tutto quello che il fabbricante sarà in grado di offrire al mondo per i prossimi tre mesi.
Si tratta del primo farmaco approvato contro il Covid-19, la cui patente è posseduta dalla società Gilead, il che significa che nessun altro è autorizzato a produrlo. Secondo le notizie si tratta di 500.000 dosi comprate dagli USA, che equivalgono a tutta la produzione del mese di luglio e al 90% di quanto si prevede per agosto e settembre.
E’ vero che ogni paese ha il dovere di proteggere la vita dei suoi cittadini. Soprattutto gli Stati Uniti, dove la pandemia ha contagiato già quasi 3 milioni di persone e si è portata via la vita di 130.000 cittadini, con elevati tassi di contagio nell’attuale ondata di nuovi focolai, che superano i 50.000 contagiati giornalieri.
Ma il messaggio che l’Amministrazione Trump invia al mondo è qualcosa di molto simile ad una dichiarazione di guerra. L’Unione Europea non ha nascosto il suo malcontento che viene da molto prima, dalle “scaramucce” per le mascherine e dal presunto tentativo statunitense di appropriarsi della società tedesca CureVac, una delle società di punta nella ricerca sul vaccino, come sottolinea il quotidiano El Pais (quotidiano spagnolo, n.d.t.).
In realtà il remdesivir non è la soluzione alla pandemia, anche se “accorcia le ospedalizzazioni ma non riduce la mortalità né diminuisce le entrate nelle terapie intensive” secondo il capo dei servizi medici relativi alle malattie infettive dell’ospedale Ramòn y Cajal di Madrid.
Insomma, il remdesivir non cura ma risolve il problema che fa paura ai governi: il collasso del sistema sanitario.
La questione è ancor più grave, visto che il laboratorio statunitense Gilead, che produce il farmaco, vende ogni dose a circa 400 dollari, portando il costo totale di un trattamento a 2.200 dollari.
IL quotidiano spagnolo svela l’immenso affare che sta sotto l’acquisto massiccio della Casa Bianca. La Ong Salute per Diritto, che difende l’accesso universale alle medicine, sostiene: “Calcoli effettuati dall’Università di Liverpool stimano che il costo di produzione più un ragionevole profitto sarebbe di 1 dollaro (90 centesimi di euro) a dose”.
L’industria farmaceutica occidentale si beneficia dei giganteschi investimenti che gli Stati fanno per lo sviluppo di nuovi farmaci, che poi rendono profitti milionari alle società private.
La direttrice di Salute per Diritto conclude che:”questi prezzi elevati e gli accordi come quello con gli Stati Uniti mettono a rischio l’accesso al farmaco di tutta la popolazione che ne abbia bisogno”.
Le ragioni per le quali la Casa Bianca ha deciso di fare un acquisto così massiccio possono oscillare tra il dare un messaggio di “preoccupazione” per la salute della popolazione in piena campagna elettorale, fino ad un probabile messaggio diretto all’Unione Europea, che in questi giorni ha deciso di aprire le sue frontiere a passeggeri di 15 paesi extra comunitari ma non a quelli provenienti dagli Stati Uniti.
L’aspetto grave della faccenda è che mostra l’esistenza di una guerra non armata tra alleati così vicini come gli USA e la UE. In aprile la Francia ha denunciato i tentativi degli Stati Uniti di portar via quanto da essa ordinato in Cina pagando prezzi più alti, come è successo per le mascherine.
Si dirà che non c’è niente di nuovo, e che questo è successo più volte durante la pandemia, comprese le liti tra paesi membri della stessa Unione Europea. All’inizio di marzo la Francia si è appropriata di 4 milioni di mascherine che erano dirette in Spagna e in Italia, provenienti dalla Cina, approfittando di uno scalo dell’aereo che le trasportava a Lione, dove le ha requisite.
La situazione è più grave di quanto si pensi, visto che non si tratta di un tentativo di mettersi al primo posto rispetto ad altri paesi.
In primo luogo la politica della “America first” con cui gli USA cercano di riposizionarsi nel mondo e invertire la loro decadenza industriale non solo è destinata a scontri con coloro che essi hanno dichiarato loro nemici (Cina, Russia, Iran e Venezuela), ma provoca tensioni e inimicizie anche con i propri alleati.
Allo stato attuale del sistema mondiale nessuno può permettersi di giocare da solo e contro gli altri. Questa politica contrasta con quella dichiarata dal governo della Cina, nel senso di tessere alleanze di lunga durata come la nuova Via della Seta, che portino benefici sia al paese che realizza gli investimenti che la paese che li ospita.
In secondo luogo questa può essere soltanto la prima scaramuccia di una battaglia più grande, quando si otterrà il primo vaccino contro il coronavirus. Come ha fatto notare il ricercatore Andrew Hill dell’Università di Liverpool, “immaginate che questo – il remdesivir - fosse davvero un vaccino: avrebbe scatenato una tempesta di fuoco. Ma è anche un esempio di quello che succederà”.
A quanto pare tanto le scaramucce per le mascherine i respiratori all’inizio della pandemia che l’attuale disputa sul remdesivir sono qualcosa come una “prova generale” di uno scontro in divenire su grande scala.
La guerra commerciale contro la Cina e le tasse sulle importazioni dei prodotti dei suoi alleati che Trump sta promuovendo vanno nella stessa direzione: America first è una dichiarazione di guerra al resto del mondo.
In terzo luogo c’è l’acuto contrasto tra questa politica e quella di Pechino, che ha donato milioni di mascherine ai più diversi paesi in tutti i continenti.
Si dirà, e a ragione, che sono donazioni interessate per migliorare la sua posizione commerciale e diplomatica, cosa evidente. Ma anche così la differenza con la politica di Washington non potrebbe essere più grande.
Infine la questione di fondo è che la Cina ha contenuto la pandemia mentre gli USA lottano contro una inaspettata e letale recrudescenza del virus che ritarda ancor più l’attesa riapertura dell’economia.
La crisi globale generata dalla pandemia trova il Dragone in piena espansione, nonostante gli intoppi inevitabili, mentre l’Aquila continua la sua lenta decadenza, alienandosi sempre più alleati che sono invece assolutamente necessari nella battaglia per l’egemonia globale.
(*) Giornalista e ricercatore uruguaiano, scrive su vari giornali come Brecha, Gara e La Jornada
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)