11 settembre 1973

11 settembre 1973: il tradimento di tre generali

di Marcos Roitman Rosenmann (*); da: jornada.com.ar; 10.9.2020

 

Alle 7.15 dell’11 settembre 1973 il presidente Salvador Allende si accomiata da sua moglie Hortensia Bussi e lascia la casa presidenziale, in Calle Tomàs Moro 220. Destinazione il palazzo de La Moneda.

 

Dopo mille giorni di assedio la borghesia cilena, i partiti politici della destra ed il regime Nixon-Kissinger  spezzano il ruolo astensionista delle forze armate.

Tra il 29 giugno 1973, data del putsch fallito, e l’11 settembre non riposano. La Contraloria General della Repubblica (specie di Corte dei Conti, n.d.t.), in mano alla Democrazia Cristiana, dichiara parzialmente incostituzionale il decreto che stabilisce le tre aree dell’economia: sociale, mista, privata.

L’8 luglio i presidenti del Senato, Eduardo Frei Montalva, e della Camera dei Deputati, Luis Pareto, tutti e due democristiani, redigono un comunicato sottolineando che il governo pretende di imporre uno schema ideologico e programmatico che la maggioranza del paese rifiuta.

Seguendoli, l’ordine degli avvocati dichiara che si è spezzato l’ordinamento giuridico.

Il 27 luglio l’ultradestra assassina il capitano di vascello e aiutante di campo del presidente, Arturo Araya Peeters.

Il 5 agosto alcuni marinai vengono torturati perché denunciano manovre di golpe e il 22 agosto la Camera dei Deputati, controllata dall’opposizione ad Allende, redige una lettera sottolineando:

E’ un fatto che l’attuale governo della Repubblica, dai suoi inizi, si è andato impegnando a conquistare il potere con l’evidente proposito di sottomettere tutte le persone al più stretto controllo economico e politico da parte dello Stato e ottenere in questo modo l’instaurazione di un sistema totalitario, assolutamente opposto al sistema rappresentativo che la Costituzione stabilisce; che per ottenere questo fine il governo non è incorso in violazioni della Costituzione e della legge isolate, ma ha fatto di esse un sistema permanente di condotta (….) violando abitualmente le garanzie che la Costituzione assicura a tutti gli abitanti della Repubblica e permettendo, e proteggendo, la creazione di poteri paralleli, illegittimi, che costituiscono un gravissimo pericolo per la nazione, cosa con cui ha distrutto elementi essenziali della costituzionalità e dello stato di diritto”.

Di seguito fa un appello esplicito alle forze armate “a cui, in ragione della grave violazione dell’ordine istituzionale (…) corrisponde il compito di mettere un freno immediato (…) con il fine di (…) assicurare l’ordine costituzionale della nostra patria”.

 

Un giorno prima, il 21 agosto, donne di Potere Femminile, militanti della Democrazia Cristiana, del Partito Nazionale e di Patria e Libertà, insieme alle moglie dei generali, si trovano davanti alla casa del comandante in capo dell’esercito generale Carlos Prats gridandogli insulti, definendolo codardo, sollecitando l’intervento delle forze armate per rovesciare il governo costituzionale.

Il giorno dopo il generale Prats presenta le sue dimissioni. Nella lettera si legge: “Nel valutare in questi ultimi giorni che coloro che mi denigravano erano riusciti a perturbare le opinioni di un settore dell’ufficialità dell’esercito, ho stimato dovere di un soldato  di solidi principi non diventare un fattore che spezzi la disciplina e l’esistenza dello stato di diritto, né di servire da pretesto a coloro che cercano il rovesciamento del governo costituzionale (…) ho ritenuto un dovere di soldato presentare la rinuncia al mio incarico di ministro della Difesa Nazionale e, allo stesso tempo, chiedere di ritirarmi assolutamente dalle file dell’esercito, che ho servito con la massima devozione per più di 40 anni”.

 

Guillermo PIckering, comandante delle scuole militari, e Mario Sepùlveda, comandante della 2° divisione (Santiago) generali al comando di truppe, rinunciano per solidarietà con Prats. Il direttore generale dei carabinieri, José María Sepúlveda Galindo, rimane. Resterà con il presidente alla Moneda l’11 settembre. Neppure il sub-direttore Jorge Urritia e i generali Rubén Alvarez e Orestes Salina si piegarono al golpe; i golpisti ricorrono ad un generale mediocre, sesto nella catena di comando, César Mendoza. Nell’Armata, il suo comandante Raùl Montero sarà arrestato nella sua casa. Gli ammiragli Daniel Arellano e, Hugo Poblete Mery, il capitano René Durandot e il tenente Horacio Larraín, fedeli alla Costituzione, vengono dimessi dalle cariche. Capo dell’Armata si autoproclama Toribio Merino.

 

Alla Moneda, Joan Carcès riferisce la sua impressione di Allende dopo le dichiarazioni dei golpisti: “Riassumo il comunicato della radio che è firmato da Leigh e Merino, ma anche da Mendoza che si autoproclama direttore generale dei Carabinieri e da Pinochet. Lui non fa alcun commento. Siamo soli. Prende in mano il telefono e pronuncia un breve discorso alla radio. (…) Sono le 8.45. In piedi, la mano sul tavolo di lavoro, tamburellandovi con le dita, lo sguardo perso in lontananza, Allende si limita a dire a bassa voce ‘Tre traditori, tre traditori’”.

Mendoza, un generale viscido, che si autonomina; Merino che sequestra il comandante in capo dell’Armata, Raùl Montero, e Pinochet, un codardo che la domenica 9 settembre ha giurato lealtà alla residenza presidenziale, e che si piega al putsch.

 

Pinochet avrebbe dovuto attivare il Piano Ercole, dispositivo anti-golpe, l’11 settembre. Allende avrebbe convocato un referendum. La Democrazia Cristiana, il Partito Nazionale e la Confindustria sono informati. Brady, generale golpista al comando della guarnigione di Santiago dopo la rinuncia del generale Sepùlveda, garantisce la mobilitazione delle truppe. Il golpe avverrà l’11 settembre.

 

L’esercito e l’aviazione bombardano, prendono ministeri, mezzi di comunicazione, fabbriche, sedi dei partiti e università. Comincia l’incarcerazione e l’assassinio di dirigenti e militanti di Unità Popolare.

La tirannia si chiude sul Cile.

 

Oggi la ribellione popolare cominciata nell’ottobre 2019 può aprire i grandi viali alberati di Santiago, chiusi per decenni.

Un referendum costituente può farla finita con la Costituzione pinochetista: Allende è presente!.

 

(*) Accademico, sociologo, analista politico e saggista cileno. Dal 1974 vivrà in Spagna esiliato dalla dittatura di Pinochet.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

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