Muri

Abbattere le recinzioni della “fortezza” terrestre

di Sergio Ferrari (*); da: insorgente.org; 9.12.2020

 

L’immigrazione provoca panico. In particolare quella che viene dai paesi del Sud cercando di assicurare la propria sopravvivenza nel Nord sviluppato. La costruzione di muri fortificati – o strisce militarizzate – si moltiplica come risposta di auto protezione.

 

4.679 milioni di persone nel mondo, cioè il 60,98% della popolazione totale, vivono in paesi che hanno costruito un qualche tipo di muro per proteggersi.

Il nemico? Secondo gli argomenti più sfruttati, l’immigrazione è il peggior di tutti. Ma appaiono anche il terrorismo, il narcotraffico, il contrabbando, le tensioni territoriali, tra altri.

 

Paradosso storico: a 31 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e a 29 dal crollo dell’apartheid sudafricano, le muraglie geopolitiche si sono moltiplicate velocemente. Le stesse rappresentano una fonte di succulenti profitti per l’industria delle armi, della costruzione e della sicurezza.

 

Attualmente si contano 63 muri lungo frontiere o territori occupati in tutto il mondo. Si tratta di un “Mondo murato … verso l’apartheid globale” come si intitola uno studio recente pubblicato in novembre da quattro Organizzazioni non Governative.

“Le frontiere come l’apartheid si costruiscono su ideologie razziste, negano a gruppi di persone i diritti basici e perpetuano la violenza” sottolineano i co-autori dello studio, il catalano Centre Delàs d’Estudis per la Pau, il Transnational Institute con sede ad Amsterdam, Paesi Bassi; il suo compatriota Stop Wapenhandel (Stop Arms Trade) e la campagna internazionale Stop the Wall.

 

Oltre all’ondata di costruzione di muri fisici di frontiera negli ultimi decenni, molti paesi hanno militarizzato i loro confini tramite il dispiegamento di truppe, navi, aerei e droni, così come la vigilanza digitale per i pattugliamenti per aria, terra e mare.

Se si contabilizzassero tutti i diversi tipi di muri esistenti, questo tipo di barriere geopolitiche in lungo e in largo per il pianeta potrebbe arrivare a oltrepassare il centinaio. Come conseguenza diretta per coloro che fuggono dalla povertà e dalla violenza, attraversare queste frontiere è ogni volta più pericoloso e mortale.

“La tendenza globale delle politiche in materia di gestione delle frontiere mostra che si sta costruendo un mondo nel quale si rafforza la segregazione e la disuguaglianza. In questo mondo murato le merci e i capitali non incontreranno restrizioni e saranno le persone quelle che ogni volta di più si vedranno escluse per ragioni di classe e di origine” ha segnalato Ainhoa Ruiz Benedicto, co-autrice dello studio e ricercatrice del Centre Delàs d’Estudis per la Pau nel presentare lo studio.

 

Orrore generalizzato

Israele, con sei muri, è in testa alla lista dei paesi che hanno costruito più muri. Lo seguono il Marocco, l’Iran e l’India, con tre ciascuno. Con due il Sudafrica, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, la Giordania, la Turchia, il Turkmenistan, il Kazakistan, l’Ungheria e la Lituania.

L’India ha costruito più di 6.540 km. di barriere con i paesi vicini, il che significa che ha fortificato il 43,29 % del totale del suo perimetro geografico.

Il Marocco, da parte sua, ha costruito un muro di occupazione con il Sahara Occidentale di 2.720 km. di lunghezza, considerato come “la più grande barriera militare funzionante del mondo”.

Nel continente americano, la colossale opera architettonica che gli Stati Uniti continuano a costruire lungo la loro frontiera meridionale per tagliare ogni connessione fisica con il Messico e il Centroamerica, costituisce l’esempio tipico della segregazione.

Lo studio ricapitola e quantifica statistiche per continente. L’Asia è la regione con il maggior numero di muri: il 56% del totale. La seguono l’Europa con il 26% e l’Africa con un 16%. All’America appartiene il resto: il muro che gli Stati Uniti stanno costruendo alla frontiera con il Messico.

 

Molto più che muri di cemento…

Oltre alle muraglie fisiche, continua ad intensificarsi la militarizzazione marittima degli spazi di frontiera, così come le attività dei corpi di sicurezza e l’uso di tecnologie di vigilanza e controllo.

Il rapporto segnala due casi esemplari.

Uno è l’Australia, che ha trasformato il mare in una barriera militarizzata, con un ampio dispiegamento delle sue Forze Armate di Frontiera. A questo si aggiunge un sistema di detenzione al di là delle sue frontiere, oggetto di pesantissime critiche da parte degli organismi di difesa dei diritti umani, che lo considerano una grave violazione.

L’altro è il Messico, che ha militarizzato in modo significativo il territorio che lo separa dal Guatemala tramite équipe e finanziamenti resi possibili dal programma degli Stati Uniti conosciuto come “Frontiera Sud”. Nonostante non equivalga ad un muro fisico in senso letterale, l’estesa struttura di sicurezza costruita nella detta zona e attorno ad essa ha conseguenze simili per i rifugiati e i migranti: contribuisce a fermare la loro avanzata verso il nord e li obbliga a prendere strade clandestine più pericolose, sostiene lo studio.

 

L’Ufficio per gli Affari Latinoamericani, nella città di Washington (USA), definisce la frontiera sud del Messico come “il muro prima del muro”, cioè precedente alla muraglia USA-Messico. Inoltre sostiene che questa recinzione militarizzata non si concentra unicamente lungo la propria frontiera ma anche nell’intensiva militarizzazione del territorio meridionale del Messico, con il pretesto di impedire che i migranti si dirigano verso il nord.

Prova di questa militarizzazione è la sistematica rete di vigilanza lungo le autostrade, così come l’aumento dei controlli di sicurezza nei centri urbani. Organizzazioni messicane sottolineano che, con il pretesto della difesa migratoria, questa militarizzazione vuole controllare i movimenti sociali,  le organizzazioni indigene e le popolazioni autoctone di stati come Oaxaca e Chiapas.

 

Un cimitero chiamato Mediterraneo

Anche se il suddetto studio non fa riferimento diretto all’Agenzia delle Frontiere e Coste (conosciuta come Frontex), è nota la forte presenza di questo organismo, creato per difendere la schiena dell’Europa. Una delle sue missioni consiste nel controllare le acque del Mediterraneo e rinviare gli immigranti ai loro rispettivi paesi d’origine  (https://frontex.europa.eu/language/es/).  

Secondo il rapporto riguardante il Nuovo Patto di Migrazione e Asilo del settembre di quest’anno, la Commissione Europea riconosce che, nel 2019, sono avvenuti 142.000 attraversamenti illegali delle frontiere (https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2020/ES/COM-2020-609-F1-ES-MAIN-PART-1.PDF).

Questa cifra è stata confermata dalla stessa Frontex nel suo esaustivo rapporto di 120 pagine sulle proprie attività nel 2019. Secondo gli Stati membri della Frontex, si sono registrati 141.846 rilevamenti di attraversamenti illegali, il che rappresenta una diminuzione del 4,9% rispetto al 2018 e un calo netto rispetto al 2015, anno in cui si produsse un picco di rifugiati che tentarono  di entrare in Europa.  Quell’anno l’Unione Europea aveva contabilizzato 1.800.000 rilevamenti.  

Per Frontex il Mediterraneo  è una delle aree che esige maggior controllo (//frontex.europa.eu/assets/Key_Documents/Annual_report/2019/General_Report_2019).

 

Da anni organizzazioni della società civile europea specializzate nel tema – e nei diritti umani – vanno sottolineando che la politica migratoria escludente dell’Europa è responsabile di migliaia di morti dei migranti, specialmente africani, che cercano arrivare alle coste del sud del continente. E criticano il “muro migratorio” che, a partire dalla militarizzazione delle acque, è stato eretto per impedire il transito umano.

 

L’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni (OIM) stima che, solo tra il 2014 e il 2019, circa 20.000 immigranti sono morti in mare nel tentare di arrivare alle coste europee. Il giornale spagnolo La Vanguardia ha fatto, nell’ottobre dell’anno scorso, un’inchiesta. La domanda era: L’Unione Europea gestisce bene la crisi dei rifugiati e delle carrette del mare? Il 93,34% delle risposte sono state negative.

 

Il grande affare fortificato

Le OnG co-autrici del rapporto sostengono che questo aumento accelerato di muri a livello internazionale è il risultato di un “complesso industriale di frontiera”, nel quale partecipano imprese di costruzione locali e organismi governativi, come l’esercito.

In più queste muraglie sono rafforzate da una grande gamma di sistemi tecnologici – come apparecchi di monitoraggio, ricerca e identificazione, veicoli, aerei e armi – che le imprese militari e di sicurezza forniscono. Anche se utilizzano sistemi autonomi e robotici, come droni e torri intelligenti, fisicamente integrati  ai muri e ai passaggi, e che possono essere utilizzati a distanzia.

 

L’indagine conduce a grandi società di armi come Airbus, Thales, Leonardo, Lockheed Martin, General Dynamics, Northrop Grumman  e L3 Technologies come principali vincitrici di contratti relativi alla costruzione di muri di frontiera e passaggi in Europa e negli Stati Uniti. Altre, come Elvis, Indra, Dat-Con, CSRA, Leidos e Raytheon sono anch’esse parte attiva di questo “mercato globale di muri e palizzate”.

L’indagine sottolinea anche il ruolo delle società israeliane, come Elbit e Magal Security tra altre, che esportano servizi a livello internazionale nel vendere la loro esperienza, “provata sul terreno” nella costruzione dell’estesa infrastruttura di muri che questo paese ha sviluppato per controllare i territori palestinesi occupati.

 

Alcuni esempi aiutano a dimensionare l’importanza crescente, a livello mondiale, di questa nuova impresa di costruzione di muri. Recenti ricerche di mercato prevedono una crescita annuale del mercato globale della sicurezza di frontiera del 7,2/8%,arrivando ad un totale di 65-68 mila milioni di dollari nel 2025 (Global Reports Store, 2019).

L’Europa spicca per un indice di crescita annuale previsto del 15%, secondo il rapporto della quattro OnG europee.

 

“Mondo murato. Verso l’apartheid globale” sottolinea anche che, dietro l’aumento dei muri e dell’industria specifica che li accompagna, “si nasconde una narrativa potente e manipolatrice che è diventata egemonica”.

La stessa narrativa che sostiene che i migranti, in particolare, “sono una minaccia per il modo di vita di alcuni paesi invece che vittime di politiche economiche e prassi ripetute e promosse dai paesi più ricchi per obbligare le persone ad abbandonare le proprie case”.

Questa narrativa utilizza il linguaggio della paura per persuadere le persone ad appoggiare soluzioni basate sulla ‘sicurezza’. La narrativa della paura e della sicurezza è chiaramente seducente. Ma i cambi nell’opinione pubblica, particolarmente come risultato della messa in discussione da parte dei movimenti sociali, hanno il potenziale sufficiente ad indebolire anche i sistemi di opinione più forti.

 

I muri che ci dividono sembrano permanenti, ma l’educazione e l’azione politica possono abbatterli. “E’ ora di una nuova ondata di mobilitazione contro il mondo murato che serve solo ad una piccola élite e tradisce la speranza della grande maggioranza dell’umanità che vuole vivere con dignità e giustizia”, conclude lo studio.

 

(*) Giornalista argentino, collaboratore della UNITE, piattaforma OnG di volontariato Nord/Sud/Nord.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magente 88, Sesto S.Giovanni)

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