Guerra

Il virus più letale non è il Covid-19, è la guerra

Di Giovanni Pilger (*); lì: rebelion.org; 19.12.2020

 

Il Memoriale delle Forze Armate Britanniche è un luogo evocatore e silenzioso. Situato nel mezzo della bella campagna  dello Staffordshire, in un parco dove crescono 30.000 alberi su ampie colline, le sue figure omeriche commemorano la determinazione e il sacrificio. Vi sono elencati i nomi di più di 16.000 soldati, uomini e donne, scolpiti nella pietra. La targa dice che “morirono nel teatro di operazioni o vittime di un attentato terroristico”.

Il giorno in cui l’ho visitato uno scalpellino stava aggiungendo nuovi nomi dei caduti di circa 50 operazioni in tutto il mondo, durante quello che è noto come “tempo di pace”. Malesia, Irlanda, Kenya, Hong Kong, Libia, Iraq, Palestina e molti altri luoghi, comprese le operazioni segrete come quella dell’Indocina.

 

Da quando fu dichiarata la pace nel 1945, non è passato un solo anno senza che la Gran Bretagna abbia inviato forze militari a combattere nelle guerre dell’impero. Non è passato un solo anno senza che alcuni paesi – la maggioranza dei quali impoveriti o lacerati dai conflitti - abbiano comprato armi  britanniche (o le abbiano avute tramite “crediti morbidi”) per promuovere le guerre o gli interessi dell’impero.

 

L’impero? Quale impero? Il giornalista d’inchiesta Phil Miller ha rivelato recentemente sul sito web britannico Declassified che il Regno Unito di Boris Johnson mantiene 145 siti militari (chiamiamoli basi) in 42 paesi. Johnson si vanta del fatto che la Gran Bretagna sarà presto “la prima potenza navale d’Europa”.

 

Nel bel mezzo della più grande emergenza sanitaria dei tempi moderni, quando il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) ha ritardato più di 4 milioni di operazioni chirurgiche, Johnson ha annunciato un aumento di 16.500 milioni di sterline alla cosiddetta “spesa per la difesa”, una cifra che servirebbe a rimettere in piedi varie volte la malconcia sanità britannica.

Ma queste migliaia di milioni non sono per la difesa. La Gran Bretagna non ha altri nemici che coloro che hanno tradito dall’interno del paese la fiducia dei suoi cittadini comuni, dei suoi infermieri e medici, badanti, anziani, poveri e giovani proprio come hanno fatto i successivi governi neoliberisti, sia conservatori che laburisti.

 

Mentre mi lasciavo invadere dalla serenità del Memoriale Nazionale della Guerra, mi sono reso conto che nessun monumento, piazza, piedistallo o cespuglio di rose onorava la memoria delle vittime della Gran Bretagna, i civili morti nelle operazioni “in tempo di pace” che qui si commemorano.

 

Non vi è alcun ricordo per i libici assassinati quando il loro paese fu distrutto deliberatamente dal primo ministro David Cameron e dai suoi collaboratori a Parigi e Washington.

Non c’è una sola parola di pentimento per le donne e i bambini serbi caduti sotto le bombe britanniche, sganciate dalla posizione di sicurezza data dall’altitudine, su scuole, fabbriche, ponti e città per ordine di Tony Blair, o per i poveri bambini yemeniti morti per i proiettili degli aerei sauditi, equipaggiati dalla Gran Bretagna dalla sicurezza dei suoi locali con aria condizionata di Riad , o per i siriani morti per mancanza di cibo in conseguenza delle “sanzioni”.

Non vi è alcun monumento in ricordo dei bambini e delle bambine palestinesi assassinati con la prolungata connivenza dell’élite britannica, come la recente campagna che ha distrutto il modesto movimento riformista che si stava formando all’interno del Partito Laburista con false accuse di antisemitismo.

 

Due settimane fa il Capo di Stato Maggiore di Israele e il suo omonimo britannico hanno firmato un accordo per “formalizzare e perfezionare” la cooperazione militare. Ma l’accordo non è stato giudicato abbastanza importante da apparire sulla stampa. A partire da ora esso aumenterà l’armamento e l’appoggio logistico del Regno Unito allo spietato regime di Tel Aviv, i cui franchi tiratori sparano contro i bambini e i cui funzionari sociopatici sottopongono a interrogatori minori imprigionati in regime di isolamento (si veda il recente e agghiacciate rapporto della OnG  Defense for Children (“Isolated and Alone”).

Forse la cosa più sorprendente del memoriale della guerra dello Staffordshire è la totale assenza di riconoscimento del milione di iracheni le cui vite furono distrutte, insieme al loro paese, dall’invasione illegale guidata da Tony Blair e George W. Bush nel 2003.

 

Un membro del British Polling Council, l’organizzazione ORG International, stima questo numero di morti nella cifra di 1,2 milioni di persone. Nel 2013 la società di ricerche ComRes chiese ad un campione significativo della popolazione britannica quanti iracheni erano morti nell’invasione. La maggioranza rispose che erano meno di 10.000.

Come è possibile mantenere questo silenzio letale in una società avanzata? Secondo me si deve al fatto che la propaganda è molto più efficace in una società che si considera libera che nelle dittature e autocrazie. E qui comprendo la censura per omissione.

 

Le nostre industrie della propaganda – sia culturale che politica, compresa la maggior parte dei mezzi di comunicazione – sono le più potenti, estese e raffinate della Terra. E’ possibile ripetere senza fine le più grandi menzogne con la cadenza confortante e credibile delle voci della BBC. Le omissioni non sono un problema.

Lo stesso succede con la guerra nucleare, la cui minaccia “manca di interesse”, citando Harold Pinter. La Russia, una grande potenza nucleare, è accerchiata dal gruppo militarista noto come NATO, e truppe britanniche effettuano regolarmente “manovre” proprio alla frontiere dove avvenne l’invasione di Hitler.

La diffamazione di tutto ciò che è relazionato alla Russia, in particolare l’occultamento della verità storica che fu fondamentalmente l’Esercito Rosso a vincere la 2° Guerra Mondiale, è penetrata nella coscienza pubblica. I russi “mancano di interesse”, salvo che come diavoli.

 

La Cina, altra potenza nucleare, è il principale  bersaglio di una continua provocazione:  I bombardieri e i droni degli Stati Uniti pattugliano costantemente il suo spazio aereo e la nuova portaerei HMS Queen Elizabeth, costata 3.000 milioni di sterline, presto salperà per percorrere 6.500 miglia di fronte al continente cinese, al fine di proteggere la “libertà di navigazione”.

La Cina è circondata da circa 400 basi statunitensi, “intrappolata in un cappio” come mi ha detto in un’occasione un ex funzionario del Pentagono. Queste si estendono lungo tutto il Pacifico, dall’Australia alla Cina meridionale e settentrionale e attraverso l’Eurasia. E nella Corea del Sud il sistema di missili balistici chiamato THAAD (Terminal High Altitude Air Defence) punta direttamente alla Cina, all’altro lato dello stretto Mare della Cina Orientale.

Immaginatevi cosa succederebbe se ci fossero dei missili cinesi in Messico, in Canada o al largo della costa californiana.

 

Pochi anni dopo l’invasione dell’Iraq ho girato un film intitolato “The War You Don’t See” (La guerra che non vedete) in cui domandavo a noti giornalisti britannici e statunitensi e a responsabili dei notiziari televisivi – tutti miei colleghi – come era possibile che Bush e Blair fossero riusciti a svicolare rispetto all’enorme crimine commesso in Iraq, visto che le loro menzogne non erano poi molto intelligenti.

La loro risposta mi sorprese: “se avessimo messo in discussione le affermazioni della Casa Bianca e di Downing Street, se avessimo investigato e portato alla luce le menzogne invece di amplificarle e ripeterle, probabilmente l’invasione dell’Iraq del 2003 non avrebbe avuto luogo. Oggi un gran numero di persone sarebbe vivo, quattro milioni di rifugiati non avrebbero dovuto fuggire dal loro paese. Forse il sinistro Stato Islamico, un prodotto dell’invasione di Blair/Bush non sarebbe nato”.

David Rose, che allora scriveva sull’Observer londinese (giornale che appoggiava l’invasione) spiegava che “la sfilza di menzogne mi arrivò attraverso una sofisticata campagna di disinformazione”. Da parte sua Rageh Omah, allora corrispondente della BBC in Iraq, mi raccontò: “Non siamo riusciti a schiacciare abbastanza i bottoni più scomodi”. Dan Rather, presentatore della BBC, era completamente d’accordo, come molti altri.

Ammiro questi giornalisti che ruppero il silenzio, ma la verità è che essi rappresentavano onorevoli eccezioni. Attualmente nuovi personaggi battono con entusiasmo i tamburi di guerra in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in “Occidente”.

 

Scegliete voi stessi il vostro favorito nella legione di coloro che sbraitano e promuovono invenzioni come lo scandalo della ‘trama russa’. Io darei l’Oscar a Peter Hartcher del Sidney Morning Herald, le cui inarrestabili e travolgenti stupidità sulla “minaccia esistenziale” (della Russia e specialmente della Cina) sono accompagnate dalla foto di un sorridente Scott Morrison, l’uomo delle pubbliche relazioni che occupa la carica di primo ministro in Australia, vestito come Churchill, con la V di “vittoria”  e tutto il resto. “Non era successo dagli anni ’30……” intonavano entrambi. Ad nauseam.

 

Il Covid ha fornito una scusa per questa pandemia di propaganda. In luglio Morrison ha seguito l’esempio di Trump e annunciato che l’Australia, che non ha nemici, avrebbe destinato 270.000 milioni di dollari per crearsene uno, con l’acquisto di un sistema di missili capaci di raggiungere la Cina. Il fatto che l’esportazione di minerali e prodotti agricoli in Cina generi importanti entrate economiche per l’Australia, “mancava di interesse” per il governo di Canberra.

I mezzi di comunicazione australiani hanno elogiato all’unisono questa misura, lanciando un mucchio di insulti sulla Cina. Il governo cinese ha consigliato alle migliaia di studenti cinesi, che garantiscono i succulenti salari dei vice-decani delle università australiane, di andare a studiare in qualsiasi altro posto. Si sono calunniati i cino-australiani e alcuni raiders sono stati aggrediti. Non è difficile far rivivere il razzismo coloniale.

 

Anni fa ho intervistato un ex direttore della CIA per l’America Latina, Duane Claridge. In poche e sorprendentemente sincere parole disse che era Washington a ordinare e dirigere la politica estera dell’  “Occidente”.  La superpotenza – affermò – poteva fare quello che voleva dove voleva, quando i suoi “interessi strategici” lo richiedevano. Le sue parole sono state: “Il mondo dovrà abituarsi a questo”.

 

Sono stato reporter in  varie guerre. Ho visto i resti di bambini, di donne e di anziani che erano stati bombardati e bruciati vivi, i loro villaggi trasformati in macerie, i loro alberi pietrificati con appesi resti umani. E molto di più.

Forse questa è la ragione per cui sento un disprezzo speciale per coloro che promuovono il crimine delle guerre voraci, che le fomentano in malafede e blasfemia senza averle mai sperimentale.

E’ nostro dovere spezzare il loro monopolio.

 

(Questo articolo è la versione di un discorso tenuto da John Pilger alla “Artists Speak Out”, una delle organizzazioni che finanziano la coalizione pacifista Stop the War).

 

(*) Giornalista e documentarista australiano. Ha lavorato per numerosi quotidiani, ha fatto l’inviato di guerra e corrispondente in Vietnam per il Daily Mirror.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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