Di quanti poveri c’è bisogno per fare un ricco?
di Alejandro Marcò del Pont (*); da: rebelion.org; 23.12.2020
La domanda che apre questo testo è un po’ complicata. Rispondere non è facile. La soluzione è complessa perché, al di là della scarsità dei dati, bisogna prendere con grande cautela quelli che ci sono.
Ad esempio, se contiamo le persone che vivono con meno di 1 dollaro (statunitense) al giorno, ci sarebbero 1.000 milioni di poveri nel mondo; con meno di 2 dollari, circa 2.800 milioni e con meno di 2.5 dollari sarebbe povera la metà della popolazione mondiale, cioè 3.700 milioni. Così che, utilizzando l’ultimo dato, avremmo bisogno di 1.687.853 persone condannate alla miseria per riprodurre un ricco nel mondo.
Per entrare nella lista dei 2.208 multimilionari della rivista Forbes è necessario avere almeno 1.000 milioni di dollari.
Ma non tutti i paesi sono omogenei nella loro produzione dell’opulenza.
Consideriamo il Brasile. Il gigante sudamericano ha 41 multimilionari e, grazie alla gestione del governo golpista di M. Temer, i poveri sono circa 52 milioni, il 24% della sua popolazione. Cioè, per generare un ricco in Brasile, bisogna condannare alla povertà 1.238.095 persone.
Se invece parliamo dell’Argentina, che secondo Forbes ha 9 multimilionari, le cifre diffuse dall’Osservatorio del Debito Sociale dell’Università Cattolica Argentina (UCA) ci dicono che ci sono 13,2 milioni di persone in condizione di povertà, il 33,6% della popolazione. Questi numeri ci portano a constatare che un eventuale “Indice di produzione di opulenza” sarebbe di 1.466.666 persone, relazione che, intuitivamente, ci conduce a pensare che la distribuzione della ricchezza in Argentina è più conveniente che in Brasile perché c’è bisogno di sacrificare più persone alla miseria per creare un ricco (o siamo meno produttivi?).
Circa 600 milioni di giovani nel mondo attualmente non lavorano, non studiano né partecipano ad alcun programma di formazione. Dei mille milioni di giovani che entreranno nel mercato del lavoro del prossimo decennio si prevede che solo il 40% riuscirà a trovare un lavoro disponibile. Ma, stranamente, 218 milioni di bambini dai 5 ai 17 anni sono occupati nella produzione mondiale: in Africa uno su cinque, in America uno su diciannove. Apparentemente il problema ha bisogno di un altro approccio.
Se guardiamo i dati di Forbes sulla crescita dei multimilionari nell’arco degli ultimi diciotto anni, noteremo che l’accelerazione più veloce si è verificata dopo il collasso economico del 2008. E sorprende la divisione settoriale dell’aumento della ricchezza. Ad esempio, in Brasile dei 41 multimilionari che ha il paese ce ne sono undici che hanno relazioni con le finanze. Cioè nella distribuzione della ricchezza quasi il 40% dei ricchi del Brasile sono banchieri o produttori di birra.
A quanto sembra, il contratto sociale del dopoguerra si è rotto ( “si sapeva che alcuni, i più favoriti, avrebbero avuto la parte più grande della torta, ma in cambio gli altri avrebbero avuto un lavoro assicurato, avrebbero preso salari crescenti, sarebbero stati protetti dalle avversità e dalle difficoltà, e sarebbero poco a poco saliti verso l’alto della scala sociale. Una percentuale di questa maggioranza, persino, avrebbe oltrepassato la frontiera sociale immaginaria e sarebbe arrivata a far parte di quelli di sopra: la classe media in salita”).
La prosperità economica è aumentata dagli anni ’80 ma il benessere della maggioranza no, almeno secondo i sondaggi mondiali. La rottura del contratto sociale ha generato maggiore disuguaglianza, si è spezzato il patto generazionale, quello che chiamavano “la curva del Grande Gatsby” – che spiega che le opportunità dei discendenti di una persona dipendono molto di più dalla situazione socio-economica dei sui antenati che dal suo sforzo personale. E la democrazia è strumentale, è buona se mi risolve i problemi.
Abbiamo una grande capacità di innovare i nomi di quello che non possiamo modificare o raffinare, come l’ingrediente ‘povertà’ per generare un ricco.
La povertà è multidimensionale, è legata alla salute, all’educazione, alle condizioni di vita (gas, luce, acqua potabile, fogne, trasporti, ecc) secondo la definizione dell’Indice Multidimensionale di Povertà del PNUD (il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) che comprende anche, a sua volta, la disuguaglianza delle entrate, indicatore che ha lasciato il mondo senza parole per la sua concentrazione negli ultimi 10 anni.
Allo stesso modo non ci dimentichiamo che abbiamo innovato, visto che secondo la Banca Mondiale la povertà si misura in 1,90 dollari al giorno; qualsiasi altra cifra al di sopra di questa produrrebbe poveri, ma meno estremi (sic!).
La verità è che , se considerassimo questo dato per l’Argentina e per un partecipante al paniere basico alimentare (CBA), ne ricaveremmo la cifra di 2,20 dollari al giorno, per cui i dati sarebbero sensibilmente più grandi rispetto a quelli della Banca Mondiale.
E’ vero che a fronte della crescita della popolazione mondiale la povertà è diminuita, ma è anche vero che viviamo peggio. Nell’anno 2005 la OnG Oxfam - nel suo rapporto annuale e dando conto della gravità della disuguaglianza mondiale - annunciava che l’1% dei più ricchi del pianeta possedeva il 48% della ricchezza mondiale. L’Oxfam esprimeva con profonda preoccupazione predizioni sinistre dove, nel 2016, l’1% dei ricchi avrebbe tesoreggiato il 50% della ricchezza e nel 2019 questa cifra avrebbe potuto arrivare all’impensabile 54%. Le peggiori profezie si sono abbondantemente verificate: nel 2017 l’1% dei più ricchi si è impadronito dell’82% della ricchezza mondiale.
Non crediate che sia il peggiore dei dati: la metà della popolazione mondiale – 3.700 milioni di persone – non ha avuto alcun beneficio, lo zero della ricchezza generata. Dal 2010 i guadagni dei ricchi sono aumentati ad un tasso del 13% mentre i salari solo del 2%. Solo nel 2017 la ricchezza dei multimilionari è aumentata di 762.000 milioni di dollari, una cifra che sarebbe sufficiente per mettere fine, per 6 volte, alla povertà estrema.
Otto persone da sole possiedono la stessa ricchezza della metà più povera del mondo, 3.700 milioni; la relazione qui sarebbe di 462.500.000 miserabili per generare un ricco.
Non è solo la smisurata differenza della ricchezza ciò che ha provocato questa perpetua degradazione, ma l’impoverimento collettivo - città in rovine, scuole distrutte, ospedali a pezzi, disoccupazione giovanile , fallimento collettivo della volontà, e tutto diventa austerità, risparmio, astensione, privazione … dovuto a cosa?
Da molto tempo conviviamo con la sobrietà e l’unica cosa che abbiamo prodotto è stato un maggior tasso di crescita della ricchezza per i più ricchi.
Tolleriamo docilmente aumenti dei combustibili, aumenti dei servizi, accettiamo di avere una cattiva salute, una pessima educazione, sopportiamo che si interrompa la mobilità intergenerazionale, la depressione, l’alcolismo, il gioco, la mancanza di futuro. E, sulla stessa via, ammiriamo i ricchi e naturalizziamo la disuguaglianza.
“Questa disposizione ad ammirare, e quasi idolatrare, i ricchi e i potenti, e a disprezzare o, come minimo, ignorare le persone povere e di condizione umile [… ] [è] la principale e più estesa causa di corruzione dei nostri sentimenti” (Adam Smith; Teoria dei Sentimenti Morali).
Siamo diventati insensibili ai costi umani delle politiche sociali apparentemente razionali.
Essere un ricevente dell’assistenza pubblica, sia in forma di aiuto per i figli, di borse alimentari, assicurazioni sulla disoccupazione o di qualsiasi altro tipo, si è trasformato nel marchio di Caino: un segno di fallimento personale, la prova che – in qualche modo – queste persone sono finite nelle crepe della società.
Si equiparano politiche di carità del secolo XIX che, per 150, l’umanità cercò di abolire perché erano degradanti, e oggi siamo allo stesso punto.
Restituire l’orgoglio e l’autostima ai ‘perdenti’ della società fu una piattaforma centrale delle riforme sociali che segnarono il progresso del secolo XX. Oggi le abbiamo perse per poco.
Non importa la quantità di poveri per creare un ricco, importa che siamo pieni di poveri con gli occhiali dell’opulenza.
(*) Economista argentino, analista di economia, giornalista e commentatore radio e TV
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)