Per non dimenticare

Medio Oriente. Trump, il sangue dimenticato

di Guadi Calvo (*); da: resumenlatinoamericano.org; 27.12.2020

 

Forse, a partire dal 20 gennaio, potremo cominciare a scuoterci di dosso il brutto sogno rappresentato dai quattro anni di governo di Donald Trump … ce ne sono forse stati di peggiori?

Certo! Da Truman in avanti gli Stati Uniti non si sono caratterizzati per aver messo degli umanisti alla Casa Bianca, e facendo un rapido e superficiale conto, quando emergono spettri come quelli di Nixon, di Reagan, dei Bush, dei Clinton e di Obama – quelli che possono contare milioni di morti, con i loro rispettivi milioni di chilometri, bombardati nella loro crociata per portare “libertà, sviluppo, democrazie e soprattutto pace” nei territori selvaggi, che sono tutti quelli al di là delle loro frontiere - a qualsiasi nato di donna dovrebbe gelarsi il sangue.

Ma certo, di tutta questa banda di gangster con il comando presidenziale che abbiamo citato è Trump, se non il peggiore, il più grottesco e il più vergognoso per le molte buone coscienze che abitano gli Stati Uniti.

 

Al di là della sua superbia e della sua patologica ignoranza, Trump ha lasciato nel mondo una ferita profonda , che chi sa per quanto tempo sanguinerà. Al di là anche delle sue politiche interne, che ci vorrà tempo per riesaminare – e che a chi scrive queste righe non importano molto, che cominceranno ad interessare a molti tribunali nordamericani, spinti dai familiari dei più di 500 mila morti, contati male, che la pandemia si porterà dietro prima di finire, perché è affare dei nordamericani e della loro giustizia.

 

Quello che invece dovrebbe importare al mondo è il male prodotto nelle zone più calde del mondo, lasciando una, molte, bombe a tempo che cominceranno a scoppiare più presto che tardi.

 

Trump ha lasciato, dopo vent’anni di guerra, l’Afganistan un’ altra volta alla deriva, con un piano di pace tra una classe corrotta e i Talebani che, al di là di qualsiasi altro interrogativo, hanno dimostrato di essere straordinari sia in guerra che in politica, dando a Washington l’opportunità di ritirarsi dal loro paese, quasi non fosse successo niente, anche se tutti sappiamo che una volta di più gli afgani, in un modo o nell’altro, hanno pulito i loro pavimenti con la bandiera imperiale.

Quanto ci metteranno i muyahidin ad abbandonare le loro montagne per stabilirsi nuovamente a Kabul dipenderà da quanto hanno imparato, ma non c’è dubbio che lo faranno.

 

Quanto alla Somalia, con la ritirata delle sue truppe Trump lascia un territorio con circa 16 milioni di anime devastato dai conflitti interni dovuti alla forte presenza del gruppo integralista al-Shabab, alle siccità bibliche che hanno annichilato la sua rudimentale economia, oltre che sul bordo di una guerra con il Kenia, suo vicino del sud che molte volte è stato vittima  dei fondamentalisti che rendono onore ad al-Qaeda globale; guerra che certo favorirà la balcanizzazione del paese visto che le altre nazioni, vicine e non tanto vicine  come la Turchia e alcune monarchie del Golfo, ci hanno messo sopra gli occhi e potrebbero mettere fine all’esistenza di questo territorio, che si è trasformato nella sintesi dello Stato Fallito.

 

La Siria è un altro dei grandi fallimenti internazionali di Trump, da dove ha parlato varie volte di voler ritirare i suoi effettivi, quelli che hanno solo contribuito a continuare la guerra e a far sì che l’esercito di Bashar al-Assad e dei suoi alleati non potesse mettere fine alle sacche di terrorismo che continuano ad operare nel paese.

 

Senza parlare del suo enorme fallimento di fronte all’Iran, nazione che, dal primo giorno del suo nefasto governo, è stato il suo obiettivo primario – anche se le sue minacce di guerra, i suoi assassinii selettivi contro il generale Qasem Soleimani e lo scienziato Mohsen Fakhrizadeh, i blocchi ed embarghi commerciali e finanziari nulla hanno potuto fare contro il paese persiano, che continua ad esistere da 2.550 anni.

 

Come gli esempi precedenti, Trump non ha risolto – o ha risolto male – i conflitti in cui i suoi predecessori hanno incagliato gli Stati Uniti: la Libia, il Sahel, la guerra nello Yemen sono, come tante altre, questioni che il leader color carota non è riuscito a risolvere.

 

E’ riuscito invece a peggiorarne altre, con la sua operazione pro-sionisti conosciuta come “Accordo di Abramo” con la quale - fino ad ora e sotto la pressione imperiale e ripugnanti elargizioni, portate avanti da suo genero e principale consigliere, Jared Kushner, un sionista confesso – è riuscito ad allineare quattro nazioni: Bahrein, Emirati Arabi Uniti (EAU), Sudan e Marocco nel ristabilimento delle relazioni diplomatiche con quella progenie sionista che occupa illegalmente la Palestina.

Situazione di fatto illegittima visto che questi governi, non a caso, mancano anch’essi di legittimità e che imperano sui loro popoli con la persecuzione, il carcere, la tortura e la morte  perché, come i 1.500 milioni di musulmani del mondo,  se questi popoli hanno un desiderio che li unifica tutti è quello di recuperare la disonorata al-Quds (Gerusalemme), il terzo luogo santo dell’islam.

 

Dalla parte degli assassini

Il mondo si chiede quale sarà l’ultima arbitrarietà di Trump, prima di cominciare a passare una volta per tutte all’ostracismo, anche se alcuni analisti considerano possibile che, in questi pochi giorni che gli restano del suo mandato, possa iniziare una guerra contro l’Iran; è improbabile, è forse solo un desiderio con il quale soddisferebbe le sue voglie: provocare il più grande male possibile all’Iran e lasciare uno scenario il più possibile critico al suo successore, Joe Biden.

 

Ma, al di là della sua perversità infantile, Trump sa molto bene come fare danni con piccoli gesti.

Si è saputo da poco che lo scorso 22 dicembre, nascosti tra altri 22 condannati per vari reati fondamentalmente economici come il suo consuocero Charles Kushner, Trump ha concesso l’indulto a 4 mercenari appartenenti alla compagnia di sicurezza militare privata Blackwater Worldwide, che scontavano pene in carcere dal 2014 per l’assassinio di 14 civili, tra cui 2 bambini, il 16 settembre 2007, assassinio conosciuto come “il massacro di piazza Nisour”, a cento metri da una delle porte principali della Zona Verde di Bagdad, che finì per sollevare proteste internazionali e la discussione sull’uso dei mercenari.

 

I quattro assassini - Paul Slough, Evan Liberty, Dustin Heard y Nicholas Slatten, che stavano spostandosi nel convoglio blindato Raven 23 – aprirono il fuoco indiscriminatamente con mitragliatrici e lanciagranate su una moltitudine disarmata.  La loro difesa sostenne che gli uomini di Blackwater avevano solo risposto ad un’imboscata tesa da insorti locali.

Un rapporto presentato dopo la sentenza afferma chiaramente che “nessuna delle vittime era un insorto o rappresentava una minaccia per il convoglio Raven 23”.

Slough, Liberty e Heard erano stati condannati a 30 anni di prigione ognuno per omicidio volontario e tentativo di omicidio nel 2014, mentre Slatten, il primo a sparare e dichiarato colpevole di omicidio di primo grado, era stato condannato all’ergastolo, in processi sostenuti – casualmente – dall’allora vice-presidente di Barak Obama, Joe Biden.

 

Questo tipo di indulti non sono i primi che Trump concede, visto che nel novembre 2019 l’aveva già fatto per un membro dell’esercito processato per l’assassinio di un presunto fabbricante di bombe afgano e per un tenente condannato per assassinio, che aveva ordinato ai suoi soldati di sparare contro tre cittadini afgani.

 

Gli investigatori del FBI che analizzarono il massacro di piazza Nisour, pochi giorni dopo, descrissero l’azione come “il massacro di My Lai in Iraq”, riferendosi alla mattanza del villaggio vietnamita dove 500 dei suoi abitanti furono assassinati dalle truppe statunitensi nel marzo 1968 e per il quale fu condannato all’ergastolo solo il capo del gruppo, il tenente William Calley, che non scontò neanche 4 anni prima di godere dell’indulto concessogli dal presidente Richard Nixon.

 

La società Blackwater – fondata dal multimilionario Erik Prince, la cui sorella è Betsy de Vos, segretaria all’Educazione di Trump e fondamentalista dell’insegnamento privato – dopo “l’incidente” cambiò rapidamente nome e fu poi venduta per salvare la “libera impresa” ovviamente, perché Prince continua a lavorare nel “ramo” dirigendo una nuova società negli Emirati Arabi Uniti che ora non assassina iracheni ma yemeniti.

 

(*) Scrittore e giornalista argentino, analista internazionale specializzato in Africa, Medio Oriente e Asia centrale.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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