Schiavitù

Un Glovo, due Glovi, tre Glovi

di David Torres (*); da: publico.es; 27.1.2021

 

Chi l’avrebbe mai detto … il feudalesimo va di nuovo di moda.

Da quanto un ayatollah infuriato mise una taglia sulla testa di Salman Rushdie per essersi burlato di Maometto in un romanzo, l’Età Media non ha mai smesso di guadagnare terreno in Occidente, tra il ritorno dei fondamentalismi religiosi e la perdita decisa dei diritti elementari.

 

Pensavamo, ingenui, che le reti sociali ci avrebbero resi più liberi, più coscienti, più ‘persone’, senza renderci conto che c’è un motivo se si chiamano ‘reti’. E’ lo stesso paradosso per cui la televisione – che avrebbe potuto essere il più grande strumento educativo e informativo del secolo scorso – si è trasformata poco a poco, canale per canale, in una concimaia piena di merda, un pollaio ripieno di concorsi idioti e dibattiti da portinai.

 

Fu il padre del liberismo, Adam Smith, ad avvertire che “i commercianti dello stesso sindacato raramente si riuniscono, neppure per passare un po’ di tempo insieme, senza finire  per cospirare contro il pubblico e per qualche aumento concertato dei prezzi”. L’economista che difendeva la libertà del mercato aggiungeva che non poteva pensare ad una dittatura peggiore che a un governo di mercanti.

E’ una tragica ironia che l’inferno immaginato da Adam Smith sia diventato realtà grazie all’inventiva di qualche negriero, alla complicità dei governi, al discredito gettato sulla solidarietà, alla fiacca dei sindacati e alla cecità di una massa di persone, incapaci persino di accorgersi che non servono più nemmeno come carne da cannone.

 

La schiavitù promossa da imprese come Amazon, Cabify, Glovo, Uber o Deliveroo si basa sull’acquiescenza sociale, il vecchio principio per cui uno schiavo non vuole essere libero, vuole essere un padrone.

 

La faccia tosta e l’oscenità di questa moderna razza di sfruttatori non conoscono limiti, fino al punto di annunciare ogni loro rapina come se fosse una nuova conquista di diritti sociali. Così Sacha Michaud, co-fondatore di Glovo, ha cantato le virtù del suo modello chiedendo una maggiore flessibilità lavorativa, la possibilità che qualsiasi dei suoi schiavi su ruote possa crollare a Milano, a Lisbona o a Barcellona, facendo due o tre lavori insieme.

E’ spaventosa la serenità con cui questo venditore di catene per biciclette parla delle meravigliose prospettive che si aprono ai suoi lavoratori, condannati a pedalare dieci o tredici ore a giorno per un salario di merda e in condizioni lavorative pessime.

Anche i sorveglianti delle piantagioni di schiavi dell’Alabama, nel lontano 1857, esaltavano quanto faceva bene ai loro schiavi raccogliere il cotone dalla mattina alla sera, spezzandosi la schiena.

 

Il panorama che vediamo non può fare più schifo. C’è un modo per mettere fine a questa ignominia: non ricorrere mai a Glovo, a Deliveroo, a Cabify, a Uber, a Amazon, a una qualsiasi di queste imprese che ritiene che i diritti dei lavoratori siano scritti sulla carta igienica.

 

Una parola chiave in questa lotteria è “flessibilità” che, nel caso dei vassalli di Glovo, si riferisce anche alla loro abilità nel scivolare in mezzo al traffico tra i parafanghi delle auto.

L’altro termine chiave è “libertà”, riferito esclusivamente alla libertà di mantenere gli schiavi.

Libertà per cosa?, si chiedeva Lenin. Per questo?!

 

(*) Scrittore e giornalista spagnolo, collabora con il giornale Publico.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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