Lotte

India, quando la terra trema

di Guadi Calvo (*); da: rebelion.org; 1.2.2021

 

Dallo scorso 8 giugno in India è iniziata una lotta, che per vari mesi è rimasta senza eco, di piccoli e medi produttori agricoli, o kisans, e il governo neofascista di Narendra Modi, dopo che è stata resa pubblica l’intenzione del Primo Ministro di dar corso ad una serie di riforme della legislazione agricola che -  dalla Rivoluzione Verde del decennio 1960 in cui la produzione crebbe grazie all’uso intensivo di fertilizzanti e pesticidi – salvò il paese dall’abisso della carestia, a cui vennero aggiunte una serie di norme sulla commercializzazione dei raccolti  per cui l’attività crebbe in maniera esponenziale fino agli anni ’90. Anche se oggi rappresenta circa il 15% dell’economia del paese, a suo tempo arrivò ad essere un terzo del PIL.

 

La proposta di Modi, con la scusa della ‘modernizzazione’, del fatto che le antiche tecnologie non sono sostenibili e con la speranza di attrarre maggiori investimenti privati, mira a togliere allo Stato il suo ruolo di arbitro tra i produttori e i grandi consorzi dell’alimentazione e dell’esportazione, il che provocherebbe immediatamente la formazione di cartelli di queste holdings che imporrebbero le loro condizioni. Così i lavoratori del settore agricolo e delle attività ad esso legate – quasi il 70% del 1.400 milioni di indiani – hanno deciso di opporsi al progetto di Modi, con quella che alcuni chiamano “hond di ladai” (battaglia per la nostra esistenza).

 

Gli agricoltori, in crisi a causa delle errate politiche economiche del Bharatiya Janata Party o BJP (Partito Popolare Indiano) che ha portato Modi al potere nel 2014, insieme alla desertificazione che sta soffrendo lo Stato del Punjab, la regione agricola più produttiva del paese, per l’uso intensivo delle sue acque, hanno aumentato le loro proteste, dapprima regionali e dallo scorso settembre, quando le discusse leggi sono state approvate dal Parlamento, nazionali.

 

La disputa ha acquisito carattere nazionale; con la parola d’ordine Pind Jagao, Pind Hilao (risvegliare i villaggi, scuotere i villaggi) migliaia di produttori da tutti gli angoli dell’India hanno marciato su New Delhi e montato le loro morchas (accampamenti), dove hanno costruito dalle mense ai lavatoi e dove avviene una attività costante con l’organizzazione di piccole Jatha (marce) in cui si gridano parole d’ordine  e “canti di guerra” contro il governo e le nuove leggi, in attesa dei cruciali colloqui tra governo e le diverse entità che riuniscono i kisans.

L’unica cosa che il governo ha concesso è stato lo spostamento di un anno e mezzo dell’applicazione delle nuove norme, rifiutato dai contadini che in novembre avevano  deciso di manifestare con i loro trattori e i loro camion: più di 15 mila veicoli giunti a New Delhi a cui la polizia ha impedito di entrare, anche se le morchas sono ancora al loro posto con le stesse parole d’ordine, nonostante le bassissime temperature che di notte raggiungono i 2/3 gradi.

Secondo il conteggio di Anuroop Kaur Sandhu, un docente dell’Università di Delhi, fino al 25 gennaio erano morte 157 persone legate alle proteste (compresi incidenti, suicidi e malattie contratte negli accampamenti).

 

I kisans, che continuano ad occupare gli accampamenti nei dintorni della capitale, hanno ritenuto il 26 gennaio – “Giorno della Repubblica”, anniversario dell’adozione della Costituzione nel 1950 – il giorno più adatto per esprimersi, visto che l’attenzione dell’India intera era posta sul famoso Forte Rosso, un tempio laico dell’India indipendente, costruito nel secolo XVII per gli imperatori moghul, in cui si celebra la cerimonia centrale del giorno, l’innalzamento della bandiera nazionale da parte del Primo Ministro, atto trasmesso da centinaia di canali in tutto il paese.

 

I contadini hanno aspettato pazientemente la fine della sfilata militare sul boulevard Rajpath dove, nonostante la pandemia (‘India è il terzo paese del mondo dopo Stati Uniti e Brasile, con più morti,  155 mila circa e più di 10 milioni di infettati). Modi ha potuto godersi la parata militare mostrando al mondo, in particolare a Pakistan e Cina, il suo potere militare, aumentato dai recenti acquisti dal suo nuovo e grande amico, il Primo Ministro sionista Benjamin Netanyahu.

Sembra che la presenza del Primo Ministro abbia però innervosito i contadini che, immediatamente, hanno abbandonato le loro morchas e si sono diretti a Delhi, cercando di arrivare al Forte Rosso, dove il capo dello Stato terminava la cerimonia. Nonostante gli sforzi della polizia - che ha utilizzato gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e una carica della fanteria con i classici e pesanti lathis,  i bastoni ereditati dai britannici – i kisans, dopo essersi scontrati con la polizia stessa, sono riusciti a superare i blocchi e a raggiungere l’emblematico monumento, appendendovi bandiere e striscioni, poco dopo che Modi se n’era andato.

Negli scontri è morto un manifestante e altri 400 sono stati feriti. In previsione di quello che sarebbe successo le autorità avevano chiuso le stazioni del metrò in varie aree della capitale e interrotto in servizio di Internet per impedire le comunicazioni tra i manifestanti, oltre a decretare l’applicazione della Sezione 144 del Codice Penale, che proibisce le riunioni pubbliche.

 

Dopo quest’ultima azione il All India Kisan Sangarsh Coordination Committee (Comitato di coordinamento della lotta di tutti gli agricoltori dell’India) aveva deciso di presentarsi davanti al Parlamento il 1° febbraio, quando sarebbe stato discusso il bilancio nazionale ma, data la violenza del 26 dicembre l’azione è stata sospesa ed è stato deciso per quella data un giorno di digiuno. Ma gli accampamenti continuano a rimanere alle porte di New Delhi.

 

Il suicidio, l’altra pandemia

Lo squilibrio tra la produzione e la vendita finale si può rappresentare con un solo dato: per ogni tazza di caffè venduta a 250 rupie nei bar, gli agricoltori ne ricevono solo una. Questa asimmetria ha provocato il fallimento di migliaia di piccoli coltivatori, il che ha portato al suicidio migliaia di kisans, la maggior parte dei quali indebitati con prestatori locali, che operano insieme alle mafie per acquisire le terre delle loro vittime. E il suicidio, che fino al 2014 era considerato un reato penale, si è trasformato in un’epidemia.

 

Secondo le registrazioni ufficiali, tra il 2018 e il 2019 sono avvenuti 20.638 suicidi. Secondo dati dell’Accidental Deaths and Suicide in India (ADSI) ogni giorno si suicidano 28 persone dipendenti dall’agricoltura, che rappresentano il 7,4 per cento del totale nazionale. Nel 2019, ultimi dati conseguiti, circa 10.200 persone del settore agricolo si sono suicidate, su un totale nazionale di circa 140.000. La cifra dei suicidi dei kisans del 2019 è stata minore di quella del 2018, che era arrivata ai 10.348. Secondo la stessa fonte, negli ultimi 20 anni si sono suicidati circa 300.000 agricoltori.

In una protesta realizzata da agricoltori del Tamil Nadu, uno degli Stati più poveri dell’India, nel 2018, i kisans costruirono, nelle vicinanze del parlamento, una piramide con i teschi e le ossa dei contadini che si erano suicidati dopo la più grande siccità degli ultimi 140 anni.

 

Dato il numero globale dei suicidi del 2019, che è il più alto degli ultimi 5 anni, senza dubbio la situazione coinvolge le politiche del governo Modi contro le minoranze religiose, in particolare quella musulmana, visto che le politiche del Bharatiya Janata Party, con leggi come l’Emendamento di Cittadinanza (CAA) mettono molti cittadini indiani, in maggioranza musulmani, sull’orlo dell’espulsione dal paese, nonostante siano nati in esso.  

 

Per smentire tutte le informazioni rispetto ai tassi allarmanti di suicidi di agricoltori, il ministro dell’Agricoltura Basavanagowda Patil, in una conferenza stampa dello scorso 19 gennaio, mentre presentava una serie di misure con cui si pretende di raddoppiare le entrate del settore entro il 2023, ha attribuito l’ondata di suicidi di agricoltori non alle politiche del governo Modi ma alla “debolezza mentale dei contadini”.

Una risposta afona mentre la terra trema.

 

(*) Scrittore e giornalista argentino. Analista internazionale specializzato in Africa, Medio Oriente e Asia centrale.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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