Golpe militare in Myanmar: la Cina preoccupata, Biden confuso
di Nazanin Armanian (*); da: publico.es; 8.2.2021
Prima ancora di aprire gli scatoloni del trasloco alla Casa Bianca, Joe Biden ha avuto il suo primo grande dispiacere nella politica estera, proprio nella regione in cui pianificava di sconfiggere la Cina quale principale rivale degli USA: il sud-est asiatico e, oltretutto, in Myanmar, il paese sul quale lui e il suo presidente Barak Obama avevano scommesso dando il via alla dottina anti-Cina detta “Pivot verso l’Asia”.
Non è stata una sorpresa: all’interno e all’esterno del Myanmar ci si aspettava un golpe militare da quando la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) di Aung San Suu Kyi aveva ottenuto l’88% dei voti nelle elezioni (per niente democratiche) parlamentari dell’8 novembre, guadagnando 396 dei 476 seggi nelle camere Alta e Bassa, mentre il Partito Unione, Solidarietà e Sviluppo, sostenuto dai militari, prendeva solo 33 seggi.
Il pretesto dei militari, che hanno arrestato la consigliera di Stato Suu Kyi, il presidente Win Myint e altri alti funzionari, è la “frode elettorale”, nonostante che il 29 gennaio la commissione elettorale del paese avesse rifiutato le accuse. Il parallelo con quanto successo durante le elezioni statunitensi non è casuale!
Mentre i cittadini esprimono il loro rifiuto verso la dittatura militare nelle strade e sulle reti social, all’estero ci sono posizioni differenti: gli USA - che minacciano i golpisti di imporre sanzioni sul paese se non restituiscono il potere ai civili – non sono riusciti ad approvare nel Consiglio di Sicurezza una dichiarazione di condanna del “colpo di Stato” per il veto di Cina e Russia, che la considerano un ‘ingerenza negli affari interni di una altro paese. La Cina non ha mai condannato i colpi di Stato e non voleva stabilire un precedente.
Ma entrambi gli Stati – che hanno invece firmato il comunicato del 4 febbraio del Consiglio di Sicurezza per esprimere la loro “profonda preoccupazione” per la situazione nel Myanmar – hanno chiesto notizie dei dirigenti incarcerati ed espresso il loro appoggio alla transizione democratica e dialogata in Myanmar.
Naturalmente il colpo di Stato pregiudica la Cina, le cui imprese non potranno investire in un paese sotto sanzioni internazionali e in una nazione con un’economia incapace di comprare i suoi prodotti.
Il presidente Xi ha avuto una relazione migliore con Suu Kyi che con i militari profondamente corrotti, e adesso lo preoccupa l’instabilità politica del suo vicino, dove ha fatto investimenti per 15.900 milioni di dollari in diversi progetti. Anche la mediazione cinese nel conflitto tra il governo centrale e la regione autonoma socialista di Wa mostra l’interesse di Pechino alla “stabilità” della Birmania, indipendentemente da chi la governa.
Non è che gli USA – abituati ai golpe di Stato e agli “change regime” in altre terre – all’improvviso siano diventati rispettosi del gioco democratico, no … semplicemente a loro non piace questo tipo di bruschi cambiamenti quando non è la CIA a organizzarli. Nel 2013 l’Amministrazione Obama-Biden rifiutò di definire “colpo di Stato” ciò che fece il generale egiziano Al-Sisi contro il protetto di Washington, il presidente islamista Mohammad Morsi.
I motivi: 1.) non volevano scontrarsi con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti che avevano patrocinato il golpe di Al-Sisi; 2.) non conveniva loro intorbidire le relazioni con il nuovo regime; e 3.) le leggi USA proibiscono di riconoscere un regime golpista.
Il Giappone e l’India hanno espresso la loro preoccupazione ritenendo che il rovesciamento di Suu Kyi aumenterebbe l’influenza della Cina nel paese, mentre Thailandia, Laos e Filippine hanno sdrammatizzato il golpe e lo hanno considerato “un affare interno”.
L’importanza del Myanmar
Il paese più grande del sud-est asiatico, che divide le frontiere con i due giganti asiatici – Cina e India – e conta con immense terre coltivabili e abbondante acqua, è una delle principali riserve mondiali di gas; ha petrolio oltre a miniere di stagno, tungsteno, zinco, oro, piombo, rame, carbone e pietre preziose come diamanti, giada, zaffiri e rubini.
Le relazioni della Birmania con il suo vicino cinese sono sempre state molto speciali. Il Partito Comunista della Birmania (1939-1989), di ispirazione maoista, fu il primo partito politico del paese e il più grande. L’Unione Contadina del partito ebbe circa 1 milione di membri e migliaia di guerriglieri nelle sue file. E tra il 1962 e il 1988 ci fu un sistema politico detto ‘Via Birmana al Socialismo’, guidato dal generale Ne Win.
A partire da questa data una oligarchia militare, i cui ufficiali sono stati addestrati negli USA, dirige il paese a fronte dell’assenza delle forze di sinistra, duramente perseguitate. I generali birmani si sono interessati più dei loro oscuri affari che di tessere dottrine per la loro politica estera. Barak Obama fu il primo presidente USA a visitare il Myanmar, persino in due occasioni, con l’illusione di formare un’alleanza militare anti-Cina, senza riuscirci.
Nel marzo 2009 la Cina e il Myanmar firmano l’accordo per costruire un oleodotto e un gasdotto in parallelo, per il valore di 2.500 milioni di dollari e 2.380 km. di lunghezza che, attraversando il Myanmar, unisce il porto birmano di Kyaukpyu alle provincie sudoccidentali della Cina. In questo modo Pechino protegge le sue navi dalle minacce degli USA che controllano lo Stretto di Malacca (dove passa il 70% delle forniture mondiali di prodotti petroliferi) e dai pirati che vi si aggirano. Con lo stesso obiettivo la Cina ha creato un corridoio con il porto pachistano di Gwadar nel Mar Arabico. Due anni dopo il presidente birmano Thein Sein alzò il livello della relazione bilaterale costituendo una “associazione di cooperazione strategica integrale” con la Cina.
Anche così, nel 2011 i generali cominciarono un avvicinamento agli USA, sospendendo vari contratti di costruzione con la Cina come il progetto per la diga Myitsone di 3.600 milioni di dollari, nonostante che fosse stata la Cina ad alleviare gli effetti delle sanzioni che gli USA avevano imposto al paese. Il timore dell’Esercito che Washington approfittasse dello scontento sociale e organizzasse una delle sue “rivoluzioni arancioni” è stato uno dei motivi per iniziare i negoziati con il presidente Obama e integrare Suu Kyi nel potere: così avrebbero anche dato una immagine amabile al loro rude potere dittatoriale in uniforme. Conferire il Premio Nobel per la Pace al nuovo personaggio di questo scenario aveva due obiettivi principali: aprire la strada dell’Occidente in Myanmar, l’anello più fragile delle alleanze cinesi, e allontanarlo dalla terra di Mao.
Ma Suu Kyi non è stata capace di ridurre il potere dei militari e il loro controllo sull’economia per cui questo settore del capitalismo birmano, che la nuova dirigente rappresenta , non ha visto altra strada che avvicinarsi a Pechino in cerca di assistenza finanziaria. Questo è stato il vero motivo degli attacchi che la “consigliera” ha ricevuto dagli USA, non certo per la sua difesa del genocidio dei rohinga per mano dell’Esercito, come si afferma. La prova è Israele: fa lo stesso da decenni con i palestinesi e riceve anche appoggio da Washington.
“A causa del suo fallimento nel promuovere i valori democratici, [Suu Kyi] dovrebbe lasciare che altri leaders democratici del Myanmar prendano le redini con il sostegno e l’appoggio internazionale” afferma l’ex diplomatico statunitense Bill Richardson, che propone di trovare un’altra “faccia”: poi ci si darà da fare per promuoverla a livello mondiale.
Questo e altri fallimenti del governo Obama-Biden nel reclutare nuovi alleati (come con le Filippine) per ampliare il cerchio militare attorno alla Cina, li ha portati a trasferire nel Pacifico i bombardieri B-1e B-52, MV-22 Ospreys, i droni Global Hawk e dispiegare il sistema Terminal di Difesa Aerea di Grande Altezza (THAAD) nella Corea del Sud, il cui radar a banda X può localizzare obiettivi sia in Cina che in Russia. Il Pentagono aveva già accerchiato la superpotenza asiatica con 16 basi militari, 320.000 soldati e 6 delle sue 11 portaerei.
Come risposta i governi del presidente Xi e di Suu Kyi avevano stabilito di costruire una stazione di vigilanza nelle isole Coco per monitorare lo Stretto di Malacca e le manovre militari che gli USA e i loro alleati fanno nell’area, di includere il Myanmar nella Iniziativa della Striscia e nella Via della Cina e di firmare l’accordo dell’Associazione Economica Integrale Regionale (RCEP) di libero commercio. Anche così, la Cina manca della cosiddetta “Strategia delle acque azzurre”, un piano iniziato per rafforzare la sua presenza nella regione. Per il momento il suo obiettivo consiste nell’evirae uno scontro con le forze navali USA.
Possibili motivi del golpe militare
E’ presto per sapere cosa sta succedendo nel paese e le sue ripercussioni regionali e mondiali. La stampa della zona rimescola lo sciovinismo etnico e il fanatismo religioso dei militari: il timore che la costruzione di una democrazia politica tolga il potere al gruppo dominante Bamar, di credo buddista, obbligandolo a condividere il potere con un centinaio di gruppi etnici che compongono circa il 30% della nazione, o il rifiuto della casta militare e delle sue ‘famiglie’ di condividere lo sfruttamento delle risorse del paese con altri settori della borghesia.
Ma questa azione preventiva è anche funzione di pedagogia del terrore a fronte dell’aumento dello scontento popolare per l’incapacità del regime nel controllare la propagazione del Covid-19, la chiusura degli affari e la disoccupazione di milioni di persone. Se così è, il Myanmar sarebbe il secondo paese, dopo gli USA, la cui estrema destra agisce prima di uno scoppio sociale incontrollabile. E ci saranno azioni simili in altri paesi nei mesi prossimi.
Incertezza
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, circa il 25% della popolazione vive in povertà (dati 2018), e nelle zone rurali il numero dei poveri è 6,7 volte maggiore che nelle città. Il Covid-19 ha distrutto il precario sistema sanitario birmano, mentre il confinamento ha paralizzato l’economia del paese trasformandolo, come molti altri Stati, in una polveriera di tensioni sociali.
I militari controllano tutti i settori dell’economia, dalla banca e dal turismo alla costruzione di oleodotti e allo sfruttamento delle miniere di giada, zaffiri, rubini, diamanti, oro e metalli di terre rare. Nel giugno 2020 circa 170 lavoratori hanno perso la vita in una miniera di giada.
Un altro dei loro affari tradizionali è la droga: un tempo si trattava dell’oppio e dell’eroina del Triangolo d’Ora – alla frontiera con la Tailandia e il Laos - adesso sono le droghe sintetiche che la Birmania esporta in tutto il mondo.
Colui che avvisa prima non è un traditore e Biden ha già detto che nella sua politica estera utilizzerà la retorica dei “diritti umani” e dei “valori democratici” per salvare l’influenza degli USA nel mondo. Nel suo documento di “orientamento strategico”, il Pentagono designa la regione dell’Asia-Pacifico e il Golfo Persico come le due priorità geostrategiche degli USA, per i quali potrà tornare a ricorrere ai gruppi yihaidisti (come Arakan Rohingya Salvation Army o il gruppo di Abu Zar al-Burmi, cittadino pakistano di ascendenza rohingya), per rallentare e sabotare i progetti cinesi in Myanmar.
Gli USA, che sono riusciti in Medio Oriente a sviare la lotta della classe lavoratrice contro l’oppressione e il capitalismo in una battaglia religiosa (ebrea-musulmana e sciita-sunnita), installando regimi teocratici in Stati chiave, potrebbero aver fortuna nel sud-est asiatico. Se agisse in modo raffinato, Washington riuscirebbe a spingere il suo grande rivale ad una corsa agli armamenti allontanandolo dalla Strategia dell’Oceano Azzurro (Blue Ocean Strategy), cioè avanzare senza cadere in una concorrenza distruttiva come avvenne con la Guerra delle Galassie e l’Unione Sovietica.
Senza attacchi chirurgici, senza imporre sanzioni o inviare gruppi terroristici la Cina, per il momento, è stata capace di ottenere quello che gli USA e i suoi alleati sognano, nel Myanmar e nel resto del mondo. Proprio per questo lo scontro frontale tra le due superpotenze sembra inevitabile.
(*) Giornalista iraniano-spagnola
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)