La Colombia brucia: non è per la “riforma tributaria”, è per fame e dignità
di Hernando Calvo Ospina; da: espanol.almayadeen.net; 5.5.201
La Colombia è un regime in guerra permanente contro il suo popolo dagli inizi del secolo XIX. Da quando il venezuelano Simón Bolivar, che guidò la guerra d’indipendenza contro la Spagna, ormai tradito, lasciò il potere.
Prima di qualsiasi altro Stato in America Latina, la dirigenza politica e la chiesa cattolica cominciarono ad applicare leggi repressive per perseguire il “comunismo”: parlo dell’anno 1920.
Ma guardando solo dagli anni Sessanta del secolo scorso si può dire che, senza necessità di dittature, la Colombia, sempre sotto la protezione degli USA, instaurò la Dottrina della Sicurezza Nazionale come nessun altra nazione nel continente.
Il presidente Kennedy, il cui governo la concettualizzò e la espanse, fece le sue ammirate felicitazioni al governo colombiano per la sua capacità nell’adottarla.
E la strategia di farla finita con il “nemico interno”, con l’opposizione politica, continua ad essere vigente.
Con essa, ad esempio - leggete bene e scusate la comparazione: ogni presidente colombiano dopo 4 anni di governo lascia più morti e desaparecidos per motivi politici che tutti quelli che fecero, nel loro insieme e per 16 anni, le dittature instaurate dagli Stati Uniti in Cile, Brasile, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Argentina.
Sono stati creati, per far sparire dirigenti comunitari, crematori e allevamenti di coccodrilli.
Non vi è un altro paese al mondo dove si siano trovate fosse comuni con più di 2.000 persone in ognuna: non ci riuscirono neanche i nazisti.
I gruppi paramilitari fanno parte del regime colombiano da sessant’anni. Perfezionati da specialisti israeliani, inglesi e statunitensi negli anni Ottanta del secolo scorso, sono stati e continuano ad essere finanziati con il denaro del narcotraffico. Essi si incaricano di fare il “lavoro sporco” per l’esercito e di “ripulire” le zone contadine da possibili oppositori alle multinazionali e ai proprietari terrieri che rubano le immense risorse strategiche.
La Colombia è il principale produttore e esportatore di cocaina del mondo, nonostante sia stata invasa dalle truppe statunitensi col pretesto di combatterla. E il principale consumatore sono gli Stati Uniti e le loro banche, a cui rimane il 95% dei profitti di questo affare miliardario.
Ciò nonostante si continua a ripetere che la Colombia è la più vecchia democrazia dell’America Latina. Certo, ci sono elezioni regolari e, come per incanto, queste fanno chiudere gli occhi della realtà.
Mi hanno chiesto di redigere un testo diretto al presidente Ivàn Duque o alla “Comunità internazionale” sull’attuale repressione (che si è trasferita nelle città mentre si era sempre focalizzata nelle campagne), ma non posso. Il motivo è semplice: non riesco a mantenere il sangue freddo nello scrivere quando conosco questa realtà e le sue radici (come nemmeno posso mantenerlo davanti alle aggressioni a Cuba, Venezuela o a tanti altri paesi).
Mi riesce impossibile utilizzare termini “socialmente accettabili”.
E oltretutto non è a quei politicanti mafiosi e assassini colombiani che bisogna rivolgere qualsiasi protesta, perché essi sono semplici maggiordomi: è al presidente degli Stati Uniti, che è il primo e vero responsabile. E’ lui che comanda in Colombia.
Grazie molte per avermelo proposto. Molte grazie per quello che potete fare per quel popolo che, nonostante la terribile repressione, compresa quella economica, lotta ogni giorno in tutte le forme.
Ah, parlo del popolo, del popolo, non della maggioranza piccolo-borghese delle città che solo ogni tanto sente quella che è la violenza statale ma è pronta a segnalare le “violenze” della plebe.
E per finire vi dico: la proposta di riforma tributaria è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quei milioni di poveri, in un paese immensamente ricco, non sopportano più di dover scegliere tra il molto poco e il nulla: hanno davvero pochissimo da perdere.
La città che più si è rivoltata inferocita e che la terribile repressione e i crimini delle forze statali vogliono far tacere è Cali, a sud-ovest del paese. Per “calmare” le proteste hanno inviato interi contingenti di militari, oltre alle migliaia che già c’erano. Il comandante dell’esercito dirige, di persona, gli “operativi”.
Anche se sarebbe strano, forse qualcuno ha studiato la storia del paese e sa che in questa città si alzò il primo grido di indipendenza e cominciò la guerra contro la Spagna.
Questa è stata la prima indipendenza ……
N.d.t.: Le cifre della repressione: il governo non fornisce cifre ufficiali, ma diverse organizzazioni sociali parlano, ad oggi 6 maggio, di 31 morti, 831 arresti arbitrari, 1.100 interventi violenti con utilizzo di armi da guerra da parte della polizia e dell’esercito, 56 desaparecidos in una sola settimana di ribellione. Le istituzioni internazionali mantengono un rumorosissimo silenzio.
(*) Giornalista e scrittore colombiano
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S. Giovanni)