La coesistenza pacifica in Israele non si è spezzata: è sempre stata un mito
di Nimer Sultany; da: rebelion.org; 26.5.2021
Come palestinese residente in Israele, per molto tempo sono stato un cittadino di seconda classe, privato dei diritti basici.
Martedì, nella mia città natale Tira, che si trova all’interno delle frontiere di Israele precedenti al 1967, i negozi erano chiusi e le strade vuote. Era stato dichiarato lo sciopero generale per protestare contro la politica di Israele, sia per la pulizia etnica a Sheij Jarrah che per l’assalto alla moschea di Al-Aqsa e gli attacchi su Gaza.
Nella misura in cui aumenta il numero di morti palestinesi, i commentatori lamentano la rottura della coesistenza pacifica all’interno di Israele tra la popolazione palestinese e quella ebrea.
Ma, per la mia esperienza come cittadino palestinese di Israele, devo dire in primo luogo che tale coesistenza non esisteva.
La coesistenza implica un contesto di uguaglianza, pace e mutuo rispetto. Nel quadro della dominazione israeliana su di noi, la coesistenza è una finzione che nasconde una realtà di vite separate e disuguali.
Come la grande maggioranza della popolazione palestinese residente in Israele, sono cresciuto in una comunità araba separata e ho studiato in un sistema scolare arabo separato, dall’asilo alla fine delle scuole secondarie. Come studente di Diritto, non ho potuto affittare un appartamento nella città di Rishon LeZion a causa della mia provenienza, e ho dovuto ricorrere ad un amico di famiglia ebreo, che ha firmato il contratto al mio posto per ingannare i proprietari che nutrivano dei pregiudizi. Da giovane avvocato sono finito in ospedale dopo che, nell’ottobre del 2001, vari agenti di polizia mi hanno picchiato coi loro manganelli: nella mia città natale la gente stava protestando contro la confisca delle terre, comprese quelle appartenenti alla mia famiglia. Ogni volta che sono andato all’estero per studiare, in aeroporto mi hanno classificato razzialmente.
Mi ha sempre sconcertato che tanta gente pensi che il problema ha le sue radici semplicemente nell’occupazione della Cisgiordania e di Gaza da parte di Israele nel 1967.
Ma i fatti stanno qui … per chi voglia vederli.
Il sistema politico e giuridico israeliano è profondamente disuguale. Omette chiaramente il principio formale dell’uguaglianza consacrato nella Carta dei Diritti Umani; permette a centinaia di comunità ebree di negare la residenza a persone non ebree; le sue leggi fondamentali dichiarano che l’insediamento ebreo è un valore supremo per lo Stato; e i leaders israeliani continuano ad affermare che Israele non è uno Stato di tutta la sua cittadinanza perché è uno Stato ebreo.
I tribunali israeliani sono parte del problema perché hanno approvato la colonizzazione delle nostre terre e la nostra subordinazione generale, così come la nostra privazione dei diritti basici.
Tira era una città agricola. Decenni di confische, demolizione di case, incarcerazioni e discriminazione nell’educazione, nel lavoro e nelle prestazioni sociali hanno trasformato la mia città, come praticamente tutte le città palestinesi in Israele, in un ghetto con scuole degradate ed alti livelli di povertà e criminalità. Quasi il 50% delle famiglie palestinesi in Israele vivono sotto la soglia di povertà , e anche se nel 2009 rappresentavamo circa il 20% della popolazione, metà della popolazione carceraria era palestinese.
Tira è diventata una piattaforma del crimine organizzato, dove le guerre tra le bande e le estorsioni mafiose sono troppo frequenti. Gli slogans sullo Stato di diritto in Israele suonano vuoti per coloro che vivono nell’insicurezza costante e privi di protezione legale.
Un recente rapporto di Human Rights Watch definisce correttamente la politica di ‘giudaizzazione’ del Negev e della Galilea come parte di un sistema di ‘apartheid’. Ma questa politica è evidente in altre parti del paese, comprese le cosiddette città miste che attualmente sono sede di rivolte.
‘Mista’ è un’altra espressione che nasconde la realtà dei muri di calcestruzzo che separano i quartieri palestinesi da quelli ebrei a Lydda e Ramleh.
Non c’è coesistenza quando la ‘giudaizzazione’ di queste città miste e l’espulsione della popolazione palestinese vengono discusse ad ogni elezione municipale. Con l’aiuto dell’Amministrazione Territoriale di Israele, coloni della Cisgiordania e fanatici religiosi hanno stabilito un insediamento esclusivamente ebreo a Lydda. La costante minaccia di demolizione delle case nei quartieri palestinesi di Lydda e del villaggio non riconosciuto di Dahmash, nella periferia di Lydda, non sono neppure essi un esempio di coesistenza.
La minoranza palestinese sta soffrendo questo tipo di politiche da decenni, e per tutto questo tempo ha protestato contro di esse. Queste protestano spesso si scontrano con una mortifera violenza poliziesca, senza che nessuno debba rispondere degli abusi dei poliziotti.
Negli ultimi giorni abitanti della mia città hanno condiviso video in cui si vedono l’arresto di giovani uomini da parte della polizia e atti di brutalità non provocata, pratiche che ricordano l’attività poliziesca a Gerusalemme Est.
Benjamin Netanyahu ha detto pubblicamente alla polizia di non preoccuparsi per eventuali commissioni d’inchiesta o altre indagini. L’incitazione ha portato ad attacchi dei coloni armati e di gruppi organizzati di estrema destra a Lydda e in altre città. La parola d’ordine che questi gruppi gridano - “morte agli arabi” – non è nuova alla popolazione palestinese perché di solito risuona negli stadi calcistici di tutto il paese.
Lo spostamento forzato, la confisca delle terre, una condizione giuridica inferiore e le carcerazioni sono realtà condivise da tutta la cittadinanza palestinese, sia dell’interno di Israele che dei territori occupati.
E’ una falsità dire che la coesistenza che esisteva si è spezzata. I palestinesi che vivono all’interno di Israele protestano contro le politiche praticate a Sheij Jarrah e contro il bombardamento di quel campo di prigionieri e rifugiati che è Gaza, perché percepiscono l’unità e la continuità del sistema coloniale di oppressione su tutta la popolazione palestinese.
La nostra protesta afferma l’unità di una lotta anticolonialista per l’uguaglianza e la pace.
(*) Professore di Diritto Pubblico alla Scuola di Studi Orientali e Africani (SOAS) dell’Università di Londra.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)