Multinazionali

La montagna ha partorito il solito topolino

di Daniela Trollio (*)

 

 

Agli inizi di ottobre ha avuto fine una eccezionale gravidanza durata da circa 8 anni: l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha finalmente deciso che i profitti da capogiro – soprattutto in questi due anni di pandemia – delle multinazionali vanno tassati e così ha dato alla luce la “global minimum tax”, che andrà in vigore nel 2023.

Ma dato che non si deve esagerare, la tassazione sarà del 15% sui profitti delle multinazionali che fatturano almeno 750 milioni di euro l’anno (con buona pace di noi lavoratori, che paghiamo in tasse sui nostri miseri salari una media di circa il 30% annuo), già applicata dall’Irlanda che negli anni è diventata la terra promessa,” il miglior paese dove fare impresa”.

Per Paolo Gentiloni , Commissario europeo per gli affari economici e monetari, si tratta di uno “storico accordo internazionale sulla riforma fiscale globale”, che punterebbe a cancellare i paradisi fiscali obbligando le multinazionali a pagare la minimum tax nei paesi dove viene prodotto il profitto; se tale aliquota dovesse essere più bassa del 15%, esse dovrebbero pagare la quota restante nel paese dove hanno la sede principale.

Invece in Italia, in base ad una sentenza della Corte di Cassazione del 9 ottobre scorso, si dovranno pagare le tasse anche sulle “mance”, che diventano così reddito da lavoro dipendente. Non è una barzelletta.

 

Tenendo presente che in alcuni paesi da anni la tassa sui profitti si aggira sul 20% (ricordiamo tutti la confessione di Warren Buffett nel 2019 sull’ingiustizia fiscale che faceva sì che lui, uno degli uomini più ricchi del mondo, pagasse meno tasse della sua segretaria), ecco cosa ha scritto su Le Monde l’economista francese Thomas Picketty, non certo un marxista arrabbiato: “Nel convalidare il fatto che le multinazionali possono continuare a localizzare dove vogliono i loro profitti nei paradisi fiscali, con una tassa del 15% come imposta totale, il G7 rende ufficiale l’entrata in un mondo in cui gli oligarchi pagano strutturalmente meno tasse che il resto della popolazione”.

 

E i numeri rilevati da Oxfam (confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Ne fanno parte 18 organizzazioni di paesi diversi che collaborano con quasi 3.000 partner locali in oltre 90 nazioni) durante la pandemia sono esemplificativi. 32 multinazionali hanno realizzato 109 miliardi di extra-profitti nel 2020, di cui l’88% andrà alla remunerazione dei soci, mentre più di 400 milioni di posti di lavoro sono già andati persi. Ma 100 grandi corporations quotate hanno visto una crescita del proprio valore in borsa di oltre 3 mila miliardi di dollari e i patrimoni finanziari dei 25 tra i più facoltosi miliardari al mondo hanno registrato un incremento di ben 255 miliardi di dollari

 

 

Pandora Papers

E mentre si festeggia la minimum tax, ecco un nuovo scandalo, quello dei Pandora Papers, séguito dei Panama Papers e Paradis Papers del 2016 e 2017. Si tratta della rivelazione dei conti correnti nascosti in  paradisi fiscali da parte di holding, uomini d’affari e decine di presidenti e primi ministri in carica o ex, giudici, sindaci, generali oltre alle solite celebrità come attori e cantanti.

Come per i precedenti scandali, non ci sarà alcuna conseguenza. Anzi, alla fine verrà ribadito un semplice fatto: non sono dei privilegiati, sono degli imprenditori e la società è in debito con loro. Creano ricchezza, creano lavoro, finanziano la ricerca, appoggiano la scienza, prestano il loro nome alla lotta contro il cancro, alla difesa del panda o al cambio climatico. Alcuni passano direttamente alla politica ma, anche se scelgono di non farlo finanziano le campagne dei politici, li proteggono e, in definitiva, li comprano e li dominano.

Un solo esempio: Bill Gates

 

A smentire questo discorso stanno, tanto per cambiare, i dati dell’OCSE su quanto è accaduto nel mercato del lavoro durante l’anno e mezzo della pandemia: mezzo miliardo di nuovi poveri, 400 milioni di posti di lavoro cancellati nel 2020 e altri 430 milioni a rischio. La ricchezza finanziaria di 25 miliardari è aumentata di 255 miliardi di dollari in poco più di due mesi.

4 delle più grandi aziende tecnologiche del mondo, Google, Apple, Facebook e Amazon, ritengono di realizzare  quest’anno e complessivamente quasi 27 miliardi di dollari di extraprofitti. Da gennaio, secondo i dati forniti dalle stesse aziende, Microsoft e Google hanno remunerato gli azionisti rispettivamente con oltre 21 e 15 miliardi di dollari.

E naturalmente anche i giganti di Big Pharma hanno aumentato i profitti. 

Le 7 società farmaceutiche analizzate da Oxfam nel suo rapporto sull’andamento del 2020 stanno realizzando in media un margine di profitto del 21%. 6 di queste guadagneranno 12 miliardi di dollari in più durante la pandemia rispetto alla media degli ultimi 4 anni. Tra queste Merck 4,9 miliardi in più, Johnson & Johnson e Roche avranno circa 3 miliardi di dollari di extra-profitti ciascuna;  tre delle più importanti aziende statunitensi che hanno lavorato allo sviluppo di vaccini per il Covid19, grazie anche a cospicui investimenti pubblici – Johnson & Johnson, Merck e Pfizer – hanno già distribuito dal mese di gennaio 16 miliardi di dollari ai propri azionisti.

Invece pagare le tasse è roba da poveri: viva quindi il capitalismo che, sia detto per inciso, è riuscito persino, con il Green Pass, a far pagare i lavoratori per lavorare..

 

Far pagare più tasse ai ricchi? 

Il dibattito parte da lontano: qualcuno l’aveva già proposto anni addietro. Ma questo che risultato avrebbe? Quello di trasferirne il costo sui lavoratori abbassando i loro  salari.

 

Da dove proviene il profitto, che sia più o meno scandaloso nel suo ammontare? Per noi viene dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, dallo sfruttamento del lavoro salariato. E se “tassare i ricchi” può essere uno slogan nelle manifestazioni,  è forse un obiettivo che  cambierebbe i rapporti di produzione che vigono in questa società reale in cui dove viviamo, nel capitalismo?

I capitalisti posseggono i mezzi di produzione e ritengono quindi di avere “diritto” a tutto ciò che i lavoratori producono. Noi lavoratori non possediamo nulla che possa produrre ricchezza, se non la nostra forza-lavoro che crea tutta la ricchezza della società ma che ci viene espropriata dai capitalisti. Questa è la vera radice del problema della disparità enorme tra una piccolissima minoranza ed una enorme maggioranza. Se l’aliquota fiscale dei ricchi viene alzata i rapporti di produzione non cambiano. 

Non di questo abbiamo bisogno, ma di un rovesciamento completo di questa barbara società, di un altro modello che ci ostiniamo a chiamare “socialismo” per costruire il quale dobbiamo organizzarci.

 

dalla rivista Nuova Unità n.6/2021

(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

      Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni

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