L’imperdonabile solitudine di Julian Assange
di Atilio Boron (*)
Julian Assange è sepolto dalla “giustizia” inglese in un carcere di massima sicurezza. La parola “sepolto “non è un disonesto uso di una parola che ci fa rabbrividire. E’ una sobria descrizione della cella in cui – a poco a poco, ora per ora – il fondatore di Wikileaks compie la sentenza di morte che gli hanno riservato.
La ragione? Aver filtrato alla stampa centinaia di migliaia di documenti probatori dell’infinità di assassinii, torture, bombardamenti e atrocità che Washington ha perpetrato in Iraq, Afganistan e in altri paesi, atrocità che Washington aveva nascosto con la massima cura.
Questo è il crimine di Assange: informare, dire la verità. E ciò costituisce un’offesa imperdonabile per l’impero, che da anni perseguita il giornalista.
Il coraggio del presidente Correa (ex presidente dell’Ecuador, n.d.t.) – già manifestato quando espulse le truppe USA dalla base di Manta – lo mise in salvo da questa minaccia concedendogli non solo asilo nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra ma anche la cittadinanza ecuadoriana. La nauseabonda bassezza morale del suo corrotto successore, Lenìn Moreno, privò Assange di entrambe le cose e lo consegnò inerme alle autorità britanniche; cioè nelle mani di uno dei più disprezzabili luogotenenti della Casa Bianca. E lì rimane aspettando, a quanto pare, un finale ineludibile: la sua estradizione negli USA.
Là il giornalista sarà esibito come un trofeo, torturato psicologicamente e fisicamente e poi, con maledetta furberia, condannato ad una dura sentenza, anche se minore dei 175 anni richiesti dal procuratore e spedito in un carcere dove, poco dopo, morirà fatto a pezzi a pugnalate in una ben orchestrata “lite tra reclusi”. Con un enorme sfoggio di ipocrisia, Washington si affretterà a dichiarare il suo dispiacere per un simile finale e il presidente farà le sue condoglianze.
Morale che l’impero desidera stampare col fuoco su una pietra: “chiunque rivelerà i nostri segreti pagherà con la vita”.
Parlavamo della solitudine di Assange in questi giorni finali del difficile 2021 e la definiamo “imperdonabile”.
Perché? Perché il calvario che ha martirizzato l’australiano non ha provocato, salvo che a Londra, massicce manifestazioni di solidarietà e appoggio alla sua causa. Sorprende e preoccupa che questa non sia stata assunta come propria dalla sinistra e dai movimenti popolari, che fecero grandi battaglie alla fine del secolo scorso e all’inizio di questo contro l’Accordo Multilaterale di Investimenti – abortito non appena le sue clausole capestro segrete furono rivelate dagli hackers canadesi – o contro il neoliberismo, l’ALCA e i trattati di libero commercio, ma che oggi non si mobilitano per esigere l’immediata liberazione di Assange.
Credo che questa disgraziata situazione obbedisca a vari fattori: primo, l’indebolimento e/o la disorganizzazione delle forze sociali che hanno combattuto quelle grandi battaglie, prodotto del continuo attacco subito per mano dei governi neoliberisti; secondo, per la suicida esclusività che, nella costruzione dell’agenda dei movimenti contestatari, hanno i temi economici, dato che questi non possono essere l’unico argomento che fa muovere la loro militanza.
La lotta anticapitalista e antimperialista ha varie sfaccettature e la battaglia per l’informazione e la pubblicità degli atti del governo è una di queste. E in questa Assange è il nostro eroe, che resiste in solitudine.
Aggiungiamo un terzo fattore: il ruolo nefasto della “stampa libera”, cioè dell’antidemocratica concentrazione di poteri mediatici che mai ha assunto non diciamo la difesa di un giornalista della verità come Assange ma che ha dato il meglio di sé nel nascondere l’informazione sul caso.
La “canaglia mediatica”, che nulla ha a vedere con il nobile lavoro per giornalismo, si è allineata volontariamente per nascondere i crimini denunciati da Assange e giustificare la sua carcerazione. Cioè si è resa complice dei suoi boia.
Speriamo che la sinistra e i movimenti popolari reagiscano a tempo e abbandonino la loro abulia su questo tema. Si può fare ancora molto per salvare la vita di Assange: da una tempesta di twitter a livello mondiale che appoggi la sua battaglia fino a sviluppare una ciber-militanza delle reti sociali e l’organizzazione di tante manifestazioni di piazza nelle principali città del mondo che reclamino la sua libertà e facciano pressione sui governi perché esprimano solidarietà al giornalista imbavagliato. Siamo ancora in tempo. Le grandi organizzazioni popolari non possono né debbono essere complici del suo martirio.
Non abbandoniamo la mano di Assange, non lasciamolo solo!
(*) Politologo argentino, da: lahaine.org; 31.12.2021
(traduzione di Daniela Trollio, Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta88, Sesto S.Giovanni)