Sempre più sfruttati, sempre più poveri

L’aumento esponenziale dei morti di lavoro o, meglio, di profitto, ha una unica, semplice causa: l’aumento selvaggio dello sfruttamento e l’abbandono di ogni “investimento” sulla sicurezza, come emerge dalle indagini ogni volta che si verifica una morte “bianca”, come i giornali e le tv si ostinano a chiamare questi omicidi annunciati. Qualche giorno fa abbiamo riportato i numeri dell’INAIL, che parlano chiaro.

 

Oggi escono altri numeri: quelli della povertà nel nostro paese. Nascosti dal chiacchiericcio sul salario minimo, sullo “scandalo” del reddito di cittadinanza che impedirebbe di trovare manodopera ai poveri padroni che li cercano disperatamente,  emergono invece i fatti, che hanno la testa dura. Vediamoli.

 

Su una popolazione complessiva di 58.900 persone circa - di cui circa 36 milioni in età lavorativa (cioè che hanno o potrebbero avere un lavoro, non importa di che tipo) - 5,6 milioni di italiani sono in povertà assoluta (secondo la definizione più condivisa, la povertà assoluta è quella legata alle necessità fisiologiche di base: il povero non riesce neppure a soddisfare, da solo, i propri bisogni primari, il fabbisogno nutrizionale minimo, la disponibilità di beni e servizi essenziali per la sopravvivenza).

Negli ultimi anni la quota di persone in povertà assoluta è aumentata in modo generalizzato. Nel 2005 si trovava in queste condizioni il 3,3% della popolazione residente in Italia; dodici anni dopo, nel 2017, erano l’8,4%. Nel 2021 sono saliti al 9,4%.

 

Da almeno 20 anni padroni e sindacati di regime hanno dato il via alla battaglia per “tagliare lacci e lacciuoli” all’economia, eufemismo per dire che i licenziamenti devono essere facilitati,  i salari devono essere sempre più bassi e i profitti sempre più alti. Ci hanno assicurato che “se il mercato va bene, vanno bene anche i lavoratori”.

E così si è dato il via ad una serie di leggi e leggine che hanno liberalizzato ogni vincolo conquistato dalle lotte dei lavoratori.  Basti pensare al numero di contratti “atipici” in vigore in Italia, tra cui la vergogna assoluta del “contratto a chiamata”, ma i numeri dicono esattamente il contrario: il mercato va bene ma i lavoratori no.

 

Ma non si tratta solo dei lavoratori. Ricordate quando ci parlavano dell’egoismo dei vecchi che pregiudicava il futuro dei giovani riguardo alle pensioni?

Stando a quanto reso noto dall’Osservatorio sulle pensioni dell'Inps del 2021, su 17,8 milioni di pensioni erogate, ben 12,6 (circa il 70% del totale) sono di importo inferiore ai mille euro e oltre 10,9 milioni di trattamenti sono inferiori a 750 euro.  C’è proprio da scialare. Per quello che riguarda i giovani, potranno morire di vecchiaia sul posto di lavoro, se ce l’hanno.

 

I fatti dicono altro:  noi lavoratori siamo condannati a stipendi da fame e pensioni con cui non si può più nemmeno sopravvivere. A tal punto che persino la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia ha dovuto riconoscerlo, nel depositare, il 21 aprile, la sua relazione dopo un anno di audizioni : le sue conclusioni sono quelle da anni denunciate dai lavoratori.

Scrive la Commissione, descrivendo il mercato del lavoro: “Ricerca del profitto con modalità, termini e proporzioni prevalenti sulla tutela della dignità, della salute e della sicurezza”; “Caporalato urbano ai danni di un incontrollato bracciantato metropolitano per lo più straniero… spesso costretto ad accettare condizioni di lavoro con retribuzioni indegne”; “più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi, ovvero a rinuncia a diritti spettanti in relazione al rapporto di lavoro (quali riposi, ferie, permessi, congedi, ecc.), procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto”. E ancora “Paghe indegne e caporalato in ogni settore, dalla ristorazione alla logistica”, tanto che la Commissione (parlamentare, lo ricordiamo) afferma che “serve un nuovo reato nel Codice Penale”.

E tutto quanto sopra sarebbe il “miglior mondo possibile”.

 

C’è un solo modo possibile per ribaltare questa macelleria: la lotta. Lotta di classe che i padroni fanno egregiamente e che da troppo stanno vincendo.

Non aspettiamoci aiuto da sindacati venduti e partiti cosiddetti “di sinistra”, che da tempo immemorabile hanno scelto di stare al fianco del capitale: le elezioni passano, i padroni restano.

Solo se riusciremo ad organizzarci per lottare contro questo sistema – che si chiama capitalismo – potremo pensare di vivere dignitosamente e di avere un futuro.

 

Questo futuro noi continuiamo a chiamarlo “socialismo”. 

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