Marcinelle è ancora qui
Nei giorni scorsi molti hanno ricordato la strage di Marcinelle, avvenuta in Belgio l’8 agosto 1956.
262 minatori morti, di cui 136 italiani (allora chiamati “musi neri”), a causa di un incendio causato da un corto circuito a seguito della rottura di un cavo. Causa: scarsa manutenzione. Colpevoli: dopo un processo pieno di ‘buchi’, una sola condanna all’ingegnere capo Calicis, 6 mesi con la condizionale e 2.000 franchi di multa. Il carbone valeva più della vita degli operai.
Precedenti: dicembre 1907, nella miniera di Monongah (Virginia occidentale) si verifica un’esplosione in due gallerie, le cui cause rimarranno ignote, anche se fu ipotizzata un’esplosione di grisù. Morti: 362 minatori, stima per difetto in quanto molti lavoratori non erano registrati in alcuna lista; tra loro 171 vittime “ufficiali” di nazionalità italiana. Nessun processo, nessun colpevole.
22 ottobre 1913, Dawson, New Mexico. Il 20 ottobre, dopo le proteste dei minatori sulla pericolosità delle condizioni di lavoro nella miniera di carbone (con incendi ed esplosioni che avevano già causato la morte di 3 operai), un’ispezione delle autorità finisce con ‘esito positivo’, non c’è alcun pericolo. 2 giorni dopo un’esplosione disintegra la miniera n.2: muoiono 263 minatori, 146 di nazionalità italiana. La colpa viene attribuita ai lavoratori, che avrebbero utilizzato esplosivi non consentiti; nessun dirigente minerario viene indagato. Nel febbraio 1923 un incendio devastante nella stessa miniera causerà la morte di altri 123 operai, di cui 20 italiani, nella miniera n. 1.
Qualche pensiero. Non dimentichiamo: allora gli “immigrati” eravamo noi, insieme a lavoratori di tutto il mondo, dalla Norvegia alla Polonia, alla Cina, alla Grecia, al Messico, alla Germania, alla Finlandia…. Tutti poveri emigrati in cerca di una vita più decente per sè e per le proprie famiglie (che non trovarono: le vittime dell’incendio nella miniera 1 a Dawson erano in maggioranza i figli di coloro che erano morti dieci anni prima nella miniera n.2). Tutti sulla stessa barca o, meglio, nello stesso inferno.
E’ passato più di un secolo, ma non è cambiato nulla: le stragi di lavoratori non si sono mai fermate.
Secondo l’Osservatorio Nazionale di Bologna Morti sul Lavoro (cadutisullavoro.blogspot.com), dal 2008 ad oggi i lavoratori uccisi sono oltre 20.000. Dall’inizio di quest’anno all’8 agosto i morti sono 947, di cui 495 sul posto di lavoro e gli altri sulle strade o in itinere.
A questi dobbiamo aggiungere, come ogni anno, circa 6.000 morti per amianto.
E il filo nero che le collega è sempre lo stesso: il profitto di pochi ottenuto sul sangue di molti.
I morti sul lavoro rappresentano solo la faccia più feroce del capitalismo: finché non abbatteremo questo sistema barbaro, dove l’unica legge è il profitto, continueremo a piangere altri morti.
Per i capitalisti – quelli di ieri e quelli di oggi - continuiamo ad essere solo carne da macello.
Una volta ancora vogliamo oggi ribadire che la battaglia perché cessi questa strage di lavoratori è di massima attualità: siamo stufi di morire per ingrassare i padroni. E non aspettiamoci da Landini e compagnia bella alcun aiuto, l’unica proposta è (non ridete) la “patente a punti per le imprese”.
Nessuno ci difenderà se non lo faremo noi direttamente, organizzandoci e lottando in prima persona. Finchè esisterà il sistema capitalistico basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per noi lavoratori non ci sarà né sicurezza, né dignità, né futuro.
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Sesto S.Giovanni, via Magenta 88