Capitalismo, sfruttamento, emergenza criminalità e morti sul lavoro
Michele Michelino
Mentre nella calura estiva i partiti facevano a gara nel dimostrarsi duri e inflessibili contro i criminali - lanciando campagne sulla sicurezza dei “cittadini” impiegando nel mese di agosto nelle città insieme alle forze “dell’ordine” anche l’esercito, concentrando l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema sicurezza - il Censis ha reso noto dati da cui risulta che il numero delle vittime del lavoro e della strada supera di gran lunga quello dei delitti causati dalla criminalità o da episodi violenti.
Le vittime del lavoro sono quasi il doppio degli assassinati e i morti sulle strade otto volte più degli omicidi e dei delitti legati alla criminalità. L’Italia è il paese europeo che detiene il triste primato dei morti sul lavoro e di lavoro e in cui si muore di più sul lavoro e di lavoro.
Omicidi dei padroni, o “morti bianche” come li chiamano i borghesi: Dai dati resi noti dal Censis emerge che le morti “bianche” legate al lavoro in Italia nel 2007 sono state 1.170, di cui 609 per infortuni stradali (in itinere) lungo il tragitto casa-lavoro o durante l’attività lavorativa.
Anche se il conteggio dei lavoratori morti avvenuti in strada non è omogeneo in tutti i paesi europei, i dati forniti dal Censis contano 918 casi in Italia, contro i 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (i dati francesi disponibili sono relativi al 2005).
Incidenti stradali: anche qui deteniamo un triste primato che fa dell’Italia il paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade. Nel 2006, in Italia i morti sulle strade sono stati 5.669, nel Regno Unito 3.297, in Francia 4.709, in Germania 5.091.
Criminalità: Anche se i morti sul lavoro e di lavoro insieme agli incidenti stradali superano di gran lunga quelli legati alla criminalità e i delitti legati alla criminalità in questo campo sono inferiori alla media europea, la campagna del governo Berlusconi e dei vari partiti (sia di centrodestra che di centrosinistra) cerca di sfruttare le paure della gente attirando l’attenzione pubblica sui problemi della sicurezza legata alla criminalità, nonostante il numero degli omicidi in Italia continui a diminuire più velocemente che nel resto d’Europa, mentre aumentano quelli legati a sfondo razziale. Dai dati ufficiali disponibili forniti ed elaborati dal Censis, in Italia siamo passati da 1.042 casi nel 1995 a 818 nel 2000, continuando a calare fino a 663 nel 2006 (-36,4% in 11 anni), contro gli 879 della Francia, 727 in Germania, 901 nel Regno Unito. Anche rispetto alle altre grandi capitali europee, nelle città italiane si registra un numero minore di omicidi: nel 2006 30 a Roma, 29 a Parigi, 33 a Bruxelles, 35 ad Atene, 46 a Madrid, 50 a Berlino, 169 a Londra.
Questi dati ci portano a fare alcune considerazioni. Ogni volta che succedono stragi di lavoratori, i padroni ed i loro pennivendoli per qualche giorno si mostrano dispiaciuti, ma poi tutto torna come prima, e i morti sul lavoro e di lavoro continuano ad essere solo numeri, statistiche; l’attenzione viene spostata molto velocemente su altri problemi.
Fare molto rumore per nulla è una caratteristica della politica borghese.
Dopo il tanto blaterare sulla sicurezza del lavoro nulla è cambiato sui luoghi di lavoro.
I capitalisti italiani, per i loro interessi, hanno sempre privilegiato il trasporto su ruote e imposto modelli di successo basati sul profitto.
La grande criminalità – quella mafiosa e quella legalizzata, sempre più compenetrata nelle banche, nella finanza e nell’industria - paga fior di politici, giornalisti, istituzioni e mantiene un intero sistema sociale per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali e dalle responsabilità del sistema. Nella società capitalista la lotta quotidiana tra capitale e lavoro costringe i lavoratori alla difesa economica per limitare lo sfruttamento, alle questioni del salario e dell’orario di lavoro per poter sopravvivere, ma come lavoratori coscienti sappiamo che, fino a che perdura l’attuale sistema sociale di sfruttamento dell’uomo sull’uomo che continua a generare i capitalisti ed i borghesi sfruttatori come padroni e gli operai come schiavi salariati, la condizione operaia ed i morti sul lavoro e di lavoro continueranno inesorabilmente. In questo quadro la lotta economica e per la sicurezza sui posti di lavoro può solo cercare di contenere il numero dei morti, perche essi per il capitale sono il costo necessario alla realizzazione del massimo del profitto.
Attraverso i discorsi razzisti, il nazionalismo e il regionalismo, la concorrenza che mette gli operai dei vari paesi gli uni contro gli altri, e ingigantendo fenomeni tipici di tutte le società capitaliste come “l’emergenza criminalità”, i capitalisti spostano la rabbia e il malcontento popolare contro di loro dirottandolo verso altri obiettivi: ieri erano i “terroni”, oggi sono gli immigrati.
La lotta operaia, anche se comincia contro i singoli padroni, è una lotta che assume un carattere internazionale perché fatta dalla stessa classe che ha interessi comuni in tutto il mondo. Nella lotta di classe dei lavoratori e dei proletari di tutto il mondo non c’è posto per sentimenti patriottici, pena la rinuncia alla propria emancipazione. La storia dimostra che l’emancipazione e la liberazione proletaria dalla schiavitù salariata - anche se può cominciare in singolo paese - è un fatto internazionale, impossibile da realizzare in solo paese.
Oggi più di ieri l’acuirsi della crisi a livello internazionale porta a un peggioramento generalizzato delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari e di strati di piccola borghesia e ad un restringimento dell’aristocrazia operaia anche nei paesi imperialisti, aumentando le sacche di povertà e portando anche nel cuore dell’impero una miseria ancora più intollerabile perché nasce dall’abbondanza e dalla ricchezza in mano a pochi. Oggi più che mai i proletari coscienti, i comunisti, devono darsi un’organizzazione adeguata allo scontro che si va preparando, ponendo all’ordine del giorno la questione del potere operaio, la distruzione del capitalismo, presupposti necessari per l’emancipazione proletaria. Il proletariato ha un’assoluta necessità di un’organizzazione indipendente.
La liberazione proletaria non può che essere un fatto internazionale, in cui il proletariato cosciente è parte attiva e dirigente nell’abolizione della schiavitù salariata per sé e per tutta l’umanità. Solo ponendosi il problema del potere politico operaio - di un governo della classe operaia che espropri i capitalisti e distrugga la loro società dalle fondamenta, instaurando una società socialista che produca per soddisfare i bisogni degli esseri umani in armonia con la natura e non per il profitto - è possibile eliminare, insieme alle cause dello sfruttamento, gli omicidi sul lavoro e di lavoro.
Pubblicato sulla rivista nuova unità, settembre 2008